In quanto uomo, m'impegno ad affrontare il rischio dell'annientamento perché due o tre verità gettino sul mondo
la loro luce essenziale (Frantz Fanon)

domenica 22 febbraio 2015

CAMBIARE ROTTA 1

MOVIMENTISMO E IPOTECA SOCIALISTA
Il movimento per il movimento, la mobilitazione permanente ma senza esito delle masse, l'antagonismo soffuso del romantico fascino dei perdenti hanno un padre nobile, Eduard Bernstein, che in seno alla Seconda Internazionale agitava la parola d'ordine il movimento è tutto, il fine è nulla.
Ma anche il suo antagonista, Karl Kautsky, pur non rinnegando il programma finale della presa del potere da parte dei lavoratori, nell'attesa concentrava le forze su obiettivi di allargamento della democrazia, suffragio universale, voto femminile, e di miglioramento della legislazione del lavoro.
Strategia per l'uno, tattica per l'altro, il movimentismo era per entrambi l'alfa e l'omega dell'azione del partito. 
La mobilitazione continua fece grande il partito, la SPD, sul piano elettorale, ma un partito che cresce nell'orizzonte immediato e effimero di obiettivi parziali, senza porre la prospettiva del superamento dell'ordine esistente, è uno strumento che serve a ben poco.
E lo si vide alla prova dei fatti, quando il grande partito socialdemocratico tedesco, chiuso nella sua prospettiva nazionale, voterà i crediti di guerra.
Anche in Italia nel Partito Socialista convivono diverse anime, ma la direzione è saldamente in mano ai massimalisti.
Anche in Italia il movimento è continuo e il partito cresce, ma altrettanto inutilmente.
Nel 1920 le fabbriche sono occupate. Un accordo tra Confederazione Generale del Lavoro e Partito Socialista prevede che sia quest'ultimo ad assumere la direzione della lotta quando questa ha assunto un carattere politico e non di semplice rivendicazione sindacale. Ma Egidio Gennari, segretario del PS, decide di non avvalersene e il grande movimento si dissolve nell'accordo economico mediato dalla CGL di D'Aragona.
Eppure Gennari non è un revisionista. L'anno successivo, a Livorno, andrà con i comunisti e morirà esule a Mosca, ma sa di non poter contare su un partito socialista tanto pronto a sostenere il movimento, quanto a risolverlo in se stesso. Ogni tentativo di fare un passo avanti avrebbe come unico risultato la distruzione delle nascenti frazioni comuniste del triangolo industriale e del napoletano.
Anche i socialisti italiani sconteranno, di lì a poco, il fio del loro impotente movimentismo, quando non riusciranno ad arginare, malgrado l'enorme forza parlamentare, l'avvento del fascismo.
L'EREDITA' DELLA II INTERNAZIONALE E IL FASCINO BORGHESE DELLA IV
In Europa il socialismo sopravviverà alla guerra nelle forme della socialdemocrazia. Ma l'Italia farà eccezione e per molto tempo il socialismo italiano conserverà i tratti genuini dell'antico massimalismo, resistendo alle lusinghe riformiste.
Nel dopoguerra il partito socialista può contare su autorevoli e degnissimi dirigenti, Pietro Nenni, Riccardo Lombardi, Rodolfo Morandi, Alberto Jacometti, Sandro Pertini e moltissimi altri.
Tutti costoro approdarono, alfine, ad una concezione riformista, intesa nel suo aspetto migliore, che nulla aveva a che fare con le vergognose subalternità al padrone dei loro pretesi eredi di oggi, ma ci fu chi non approdò mai a questo lido: Lelio Basso.
Lelio Basso può essere considerato il padre di tutte le iniziative più coerenti di una sinistra socialista che ha ancora riferimenti di classe.
In particolar modo sarà l'ispiratore di quegli intellettuali e di quei movimenti che faranno riferimento alla soggettività di classe, come Gianni Bosio, Raniero Panzieri e Mario Tronti e dunque anche dell'operaismo postsessantottesco.
La parabola politica dei tentativi di organizzare la lotta a partire dall'identità sociologica di classe sarà inesorabilmente attratta da due punti di fuga opposti e simmetrici, il riflusso tradunionista e il salto nel buio del volontarismo guerrigliero. Due vicoli ciechi.
Basso, a differenza dei suoi compagni del PSI, non si farà attrarre dalla stanza dei bottoni e dalla prospettiva del centrosinistra, ma in compenso sarà il primo a rompere con l'unità d'azione con il PCI, per il rifiuto di ciò che, allora, veniva sbrigativamente chiamato stalinismo, ma che altro non era - morto da cinque anni Stalin - che il rifiuto della subalternità alle esigenze della politica estera sovietica.
L'involuzione dell'URSS è uno dei grandi fattori della dinamica delle idee del tempo, ma prima di affrontare questa questione sarà utile dare un giudizio sintetico sul movimento socialista del dopoguerra.
Nessuno mette in dubbio l'onestà intellettuale dei dirigenti del PSI di allora, ma la bontà di una scelta si valuta dai suoi risultati. Craxi sarà il punto di arrivo di un percorso accidentato in cui la scelta riformista porta inesorabilmente alla riunificazione con una socialdemocrazia made in USA che concepisce già l'idea di una politica il cui scopo ultimo non è l'attuazione di un qualsivoglia programma, ma la propria autocratica sopravvivenza. I mezzi, come in ogni perversione, diventano fini.
A Basso, che darà vita al PSIUP, non sono imputabili personali scelte socialriformiste, ma nel sottobosco che orbita nella sua ombra ideologica non sono pochi i movimenti che involvono rapidamente nella meno nobile delle socialdemocrazie.
La sinistra socialista ha ereditato certi connotati illuministi e risorgimentali delle sue origini ottocentesche, è intransigente, laica, libertaria, incline al culto del ribelle. L'entrismo  trotzkista l'ha scelta come campo d'azione.
Numerosi sono i gruppi di manifesta o implicita ispirazione trotzkista che agiscono dentro e ai margini della sinistra socialista. Gli esordi sono roboanti e rivoluzionari, ma il finale è immancabilmente in braccio a Saragat.
Ricordiamo, ad esempio Carlo Andreoni, partigiano socialista che nel gennaio 1945 partecipa a Napoli al congresso della Frazione di Sinistra dei Comunisti e dei Socialisti Italiani . Nell'estate del 1946 organizza il MRP, Movimento di Resistenza Partigiana che organizza un poco più che simbolico ritorno in montagna di partigiani armati. Conclude la sua carriera come direttore de L'Umanità, organo dello PSDI.
Ancora più illuminante il caso di Giulio Seniga, l'infedele segretario che, sottraendo documenti riservati, determinò il ridimensionamento del ruolo politico di Pietro Secchia.
Seniga, dopo l'audace colpo, è tra i promotori del periodico Azione Comunista che dovrebbe essere palestra della dissidenza trotzkista e bordighista. Vuol fare la rivoluzione, ma poi entra nel PSI, ormai in rotta di governo, e fonda e presiede L'Unione Democratica degli Amici d'Israele.
Di Luigi Cavallo, titino, socio di Edgardo Sogno e poi implicato in tutti i più loschi affari dei servizi segreti nazionali e stranieri, non parliamo neppure.
LA CONGIURA DEI BOIARDI E L'INVOLUZIONE DELL'URSS
L'URSS ha dovuto superare durissime prove. Vittoriosamente difesa la rivoluzione dalla coalizione armata dei paesi europei, il nascente stato operaio aveva dovuto addirittura costruire, con l'elettrificazione e l'industrializzazione, il proprio proletariato. L'organizzazione semifeudale dell'agricoltura, infatti, aveva sì creato miseria, ma con il sistema dei servitù della gleba e dei contadini poveri non aveva estratto plusvalore in senso stretto. Di lì a poco si era ritrovata a dover fronteggiare l'invasione nazista, pagando un prezzo altissimo in vite umane e distruzioni.
A tutte queste prove il partito comunista sovietico aveva sempre risposto non facendo ricorso alla tecnica, astrattamente imparziale, ma facendo derivare le scelte da una corretta linea politica.
La lotta era stata aspra, ma necessaria. Se negli anni 30 fossero passate le linee di Bucharin o di Trotzki, l'URSS sarebbe arrivata assolutamente impreparata al conflitto mondiale.
Dopo la guerra l'URSS si ritrova con un enorme buco demografico che farà sentire a lungo le sue conseguenze, un paese da ricostruire e l'accerchiamento sempre più aggressivo delle potenze occidentali.
Stalin, sebbene rimproverato come il teorico del socialismo in un paese solo, punta sull'allargamento del fronte socialista internazionale. Ha firmato gli accordi di Jalta, ma non li ritiene insuperabili, anche se non fa mistero che ogni paese dovrà tentare di farcela, come la Jugoslavia, con le proprie forze.
Così, alla prima riunione del Kominform, nel 1947, le delegazioni del PCI e del PCF vengono aspramente rampognate per non aver saputo sfruttare la forza e il prestigio prodotti dalla Resistenza, facendosi estromettere dai governi e intrappolare dal parlamentarismo.
Ma ala morte di Stalin segue un vero e proprio colpo di stato. La vecchia guardia è liquidata, con esecuzioni poco più che sommarie o l'estromissione da ogni incarico. Alla guida dell'URSS c'è ora un gruppo di oscuri burocrati che costruisce un saldo sistema di potere basato su interessi incrociati e meccanismi di cooptazione.
Da questo momento, l'edificazione del socialismo è abbandonata, anche se la spesa sociale continua. Di fatto non si vuole attaccare il livello di benessere raggiunto dai lavoratori, ma la loro pretesa di potere.
In politica estera la nuova URSS persegue ora una politica da grande potenza, attenta agli equilibri internazionali. Anche là dove, più avanti, la decolonizzazione guarderà all'URSS, mancherà il confronto politico, sostituito dal rapporto tra stati che non esporta coscienza rivoluzionaria, ma tecnocrazia.
Tutto ciò verrà sancito dal XX Congresso del PCUS (1956) e nello stesso anno si scioglie il Kominform.
Non esiste più un confronto internazionale tra partiti comunisti. I partiti comunisti occidentali si limitano a far da spalla alla politica estera sovietica, in cambio di un po' di rubli.
GLI ANNI 60 TRA BOOM E BLUFF
All'inizio degli anni 60 l'Italia porta a termine il processo di modernizzazione faticosamente cominciato da un secolo. Gli impiegati dell'industria superano finalmente quelli dell'agricoltura e il rapporto si evolverà in progressione aritmetica.
Un ondata migratoria interna sconvolge il paese, migliaia di emigranti, dal sud e dal nord est si riversano nel triangolo industriale.
Il decennio è cominciato con un confronto sanguinoso e severo, e le masse hanno dovuto rintuzzare il tentativo di svolta a destra di Tambroni.
Cominciano i governi di centrosinistra, con qualche realizzazione importante, come la scuola media unica e lo statuto dei lavoratori.
Cuba si è liberata dalla dittatura, l'Africa colonizzata lotta per l'indipendenza e i Vietcong tengono testa ai marines americani.
Dovunque sembra spirare un vento di rinnovamento. Nel 1962 si riunisce il Concilio Vaticano II, anche la chiesa è in fermento.
Blue jeans e capelli appena appena lunghi, fanno la loro comparsa le imitazioni autoctone dei teddy boys d'oltreoceano. Per ora la moda fra presa, quando il datore di lavoro lo permette, solo sui ragazzi delle classi inferiori, ma presto travolgerà anche i figli di papà.
In questo clima, alla fine del decennio, maturerà la rivolta studentesca del 68.
Il 68 non mancherà di produrre effetti nella storia del movimento comunista italiano per la proliferazione di gruppi extraparlamentari che rinfocolano il dibattito teorico e rendono popolare, ad esempio, la posizione del Partito Comunista Cinese nei confronti dell'URSS.
Ma il bilancio del 68 come movimento di massa è più culturale che politico e ampiamente compatibile con le necessità di svecchiamento della borghesia.
A fine decennio arriverà il divorzio, mentre sull'onda lunga (1978) si giungerà alla legge che permette l'interruzione di gravidanza e alla chiusura dei manicomi.
UNA SCISSIONE DI DESTRA
Ancora una volta è la sinistra socialista che sembra scavalcare a sinistra i comunisti. Basso e il suo PSIUP sono deboli elettoralmente, ma la debolezza politica è compensata da una certa forza di penetrazione culturale.
La sinistra socialista veicola un marxismo critico che sa di Scuola di Francoforte, frammisto all'operaismo che si sta facendo strada, dopo l'autunno caldo  del 1969, tra la sinistra sindacale.
E' un cocktail affascinante e un po' elitario che sembra evocare socialismi possibili meno deludenti di quello reale, che sui giovani ha scarsissimo appeal.
Si cerca di mettere a fuoco il concetto di democrazia proletaria, ma per quanto l'aggettivo possa resistere a lungo, nei fatti e nell'ordinario dibattito, quell'idea sembra ancora confondersi con l'omonima categoria borghese.
Nel 1957, Galvano Della Volpe ha pubblicato Rousseax e Marx, il libro l'hanno letto in pochi, ma sembrerebbe che tutti abbiano visto il film.
Con Marcuse le categorie della psicanalisi si confondono con quelle del materialismo dialettico, mentre entrano disordinatamente in campo Nietzsche, Lacan e la fenomenologia.
Il caleidoscopio culturale abbacina e occulta un formidabile golpe, celando la silenziosa apparizione di Immanuel Kant che si appresta a trasformare il comunismo da risultato della lotta di classe in fatto etico.
A dargli una mano, maltradotte femministe americane che ci assicurano che il privato è politico.
Nello stato di ebrezza provocato da questa mistura, quelli che dopotutto erano dei bravi compagni danno luogo a una scissione dagli scarsi risultati politici ma gravida di tare ideologiche ereditarie.

FINE DELLA PRIMA PARTE