In quanto uomo, m'impegno ad affrontare il rischio dell'annientamento perché due o tre verità gettino sul mondo
la loro luce essenziale (Frantz Fanon)

lunedì 29 agosto 2022

L'ARROGANZA DEL SUPPOSTO SAPERE

 

La pandemia sembrava aver imposto il ritorno al potere dei chierici. «Non puoi parlare se non sei un microbiologo», si diceva. Il popolo, ritornato ad essere plebe analfabeta – sia pure funzionalmente – e di conseguenza terrapiattista, doveva essere sollevato dall’onere della democrazia e il potere decisionale doveva tornare nelle mani dei sapienti e ricondotto all’autorità di Aristotele.
Questo, in sostanza, il passo indietro su cui si lambiccheranno gli storici del futuro nei loro studi sul XXI secolo.
Lo scenario, drammatico in sé, e opportunamente drammatizzato dai quotidiani “bollettini di guerra”, accelerò e portò finalmente a compimento il tentativo di imporre la “dittatura dei tecnici” (che scienziati non sono), alla base della rivoluzione culturale del terzo millennio.
I primi intellettuali mobilitati erano stati gli economisti, cui era spettato il compito di sfatare l’idea consolidata che «i governi governino». Se i governi governano, infatti, possono governare tutte le attività umane, trovando un limite solo nella natura. Il compito dei nuovi stregoni fu dunque quello di “naturalizzare”, come fossero temporali o maremoti, le scelte del capitale finanziario. Se si decide che Wall Street è un evento cosmologico (o il nuovo Olimpo dove i litigi degli dei determinano l’andamento dell’ecatombe sulla pianura di Troia), ecco che al governo dei governi viene sottratto un oggetto fondamentale, l’economia.
Trasformata in evento naturale, questa caratteristica attività umana realizza la dialettica hegeliana tra servo e padrone, e di conseguenza, dissolto per magia il pur diffuso senso comune secondo cui era lo Stato a governare l’economia, si scopre improvvisamente che è,invece, l’economia a governare lo Stato, al quale resta, tuttalpiù, il compito di amministrare le briciole che cadono dal piatto dei ricchi.
Questo, dopotutto, era sempre stato vero, e Marx lo aveva denunciato da tempo, ma si era ben guardato da considerare questo fenomeno come naturale, ricostruendone l’origine storica nella contraddizione tra capitale e lavoro. Lenin, da parte sua, aveva verificato sperimentalmente che quei rapporti di produzione potevano essere rovesciati. L’esperimento sovietico aveva costretto il capitale occidentale a far cadere dal piatto un’abbondante pioggia di briciole, attendendo, in una quaresima socialdemocratica, la propria pasqua di resurrezione.
Ammirevole e ardita, dunque, l’operazione di mettere apertamente sotto il naso di tutti l’onnipotenza del capitale, confermando ufficialmente l’analisi marxiana. Il trucco stava – come si è detto – nel presentare il capitalismo se non proprio come evento naturale e eterno, quantomeno come unica opzione possibile.
I padroni avevano dovuto stringere ulteriormente la cinghia, onde dimostrare che il capitalismo era la cornucopia di una generale abbondanza. Agivano su due fronti: a ovest, regalando a tutti carte di credito, che si sarebbero rivelate carte di debito di cui erano i creditori; a est diffondendo l’illusione che oltre la cortina di ferro il denaro lo si regalasse.
L’operazione era accompagnata da una straordinaria mobilitazione dei chierici per ecellenza, i filosofi, che partorirono forsennatamente il postmodernismo, il tramonto delle grandi narrazioni, il pensiero debole, il relativismo, la fine della storia, la rivalutazione dell’individualismo e tutto l’apparato ideologico necessario a portare a un punto di non ritorno la visione del mondo occidentale, in preparazione del fallimento dell’esperimento sociale sovietico.
La caduta del muro di Berlino e lo scioglimento dell’URSS dovevano essere una sorta di Cernobyl sociale, che scoraggiasse per molto tempo – rendendone scandoloso e inaudito il semplice volerne parlare – l’ipotesi di nuove centrali di socialismo reale, concedendo spazio, al massimo, a futuribili ipotesi di un socialismo utopistico di nuova generazione, fondato su diritti civili e non più sociali. Chi, compreso chi scrive, sottovalutò la pregnanza revisionista e deviazionista del vocabolo “rifondazione”, cadde nel tranello e contribuì a un rinvio “sine die” della riscossa.
L’Occidente, prediletto dagli dei, si ritrovò, ancora una volta, a essere il migliore dei mondi possibili, il capitalismo fu definito consustanziale alla democrazia, divenuta un bene esportabile, allo stesso modo e con le stesse modalità con cui, in epoca coloniale si era esportata la civilizzazione.
In questo contesto di straordinario sviluppo di pensiero mitico in cui nuovamente si fondevano Apollo e Dioniso, assorbendo ogni contraddizione nella loro indissolubile unità, i movimenti di capitale - lungi dall’esser frutto di volontà umana – potevano essere assimilati ai movimenti celesti e la scienza economica diventava scienza di osservazione, a metà strada tra l’astronomia e l’astrologia, con funzioni esplicative e aleatoriamente predittive, ma inibita, nella capacità di intervento, dal nuovo statuto di oggettività conferito a flussi e cicli finanziari, dai quali era stato espulso ogni margine di soggettività, essendo effetti della volontà di una sorta di motore immobile. Si era in una botte di ferro, ma per essere più sicuri si pensò bene di levar di torno qualche soggetto, gli Stati e i governi, sostituiti dalla governance – ricalcata sul modello delle SpA – di un ente sovrannazionale che ha esso stesso le caratteristiche di un antico loop cosmogonico, legittimandosi attraverso trattati tra Stati i cui governi condiziona, impone, commissaria.
L’altro possibile soggetto, le masse, sonnecchiava nei vapori soporiferi dei nuovi oppiacei che avevano supportato la traballante religione. Ma andava messo alla prova.
Nel frattempo si era consolidata una percezione del mondo in cui artatamente si erano erosi i confini tra naturale e artificiale, genuino e fittizio, vero e falso. Il potere mise scientemente a disposizione non solo i mezzi di diffusione, ma anche le centrali di elaborazione di un nuovo millenarismo nelle cui elaborazioni erano sapientemente collegati elementi di verità a eziologie palesamente fantasiose, facilmente sputtanabili, onde indurre a gettar via il bambino con l’acqua sporca.
Dominante o dominata entrò in scena la natura. Una pandemia, forse curabile con l’aspirina, fece strage.
Abbandonata a se stessa, quella parte del mondo in cui si muore ancora di malaria, morbillo, fame e guerra endemica, avrebbe dovuto estinguersi. Invece, abituata alle disgrazie, se la cavò senza lamentarsi troppo. Fu proprio lì, anzi, che il virus – forse perché lasciato in pace – ebbe una più benevola mutazione.
Nel mondo all’avanguardia, invece, lo scenario fu apocalittico. Per molto tempo non sapremo se fu autentico panico oppure un’occasione presa al volo (se non provocata), fatto sta che il funesto evento propiziò un esperimento sociologico planetario in cui la limitazione delle libertà individuali e sociali si coniugava con l’indiscutibilità del dettato di una determinata categoria di intellettuali. Per rivedere un analogo panorama bisogna tornare al dominio della teologia del XII secolo o alla Controriforma.
L’esperimento riuscì abbastanza bene e si poneva come positiva premessa per governare autoritariamente, forse totalitariamente, una gigantesca ristrutturazione capitalistica camuffata da emergenza ambientalistica.
La campagna era stata per tempo preparata, come una Crociata, dalla predicazione di una piccola Giovanna d’Arco, scelta da esperti hollywoodiani di casting.
Probabilmente, attraverso questa via, si voleva anche andare al confronto definitivo con i centri di resistenza alla globalizzazione monopolare.
L’Occidente riteneva di poter scegliere tempi, modi e livelli dello scontro, di poterlo, cioè, scatenare raggiunto il massimo di efficienza bellica e coesione interna, ma aveva fatto i conti senza l’oste.
Mentre si danno da fare per stringere d’assedio la Russia, con una espansione della NATO, e a moltiplicare i contenziosi nel Mar della Cina, il 15 agosto 2021 i gendarmi del mondo fuggono precipitosamente da Kabul, riconquistata dai talebani. È un segnale di debolezza di cui non si può non tener conto, per cui, persistendo e inasprendosi l’atteggiamento provocatorio ucraino, i Russi decidono di prendere l’iniziativa.
Il grande carnevale della transizione ecologica è rinviato. Si torna a bruciare il carbone.
La casta degli economisti, che ha elevato una sua star a capo del governo, fa ancora in tempo a formulare ridicoli vaticini sull’effetto delle sanzioni. Poi i topi abbandonano la nave.
In tutta questa storia gli intellettuali non ci fanno una gran figura. Economisti, virologi, filosofi e esperti di geopolitica hanno mostrato una debolezza descrittiva e predittiva che mina le basi della validità epistemologica delle loro scienze. Evidente lo stridore tra la mendacità delle loro performance e la pretesa di attribuire loro il dogma dell’infallibilità, da cui far discendere provvedimenti esecutivi, usurpando una prerogativa che risiede altrove.
Abbiamo corso un bel rischio, ma non si deve pensare che la nottata sia passata senza conseguenze. Dall’arroganza di un supposto sapere, il prestigio delle scienze ha ricevuto un duro colpo, gli atteggiamenti antiintellettualistici ne escono, invece, rafforzati e si profila una teorizzazione dell’apologia metodologica dell’analfabetismo.
O si torna tempestivamente all’analisi gramsciana della funzione degli intellettuali e alla disamina – materialista e dialettica – delle acquisizioni scientifiche, o prevarrà il più sbrigativo approccio critico di Pol Pot.

mercoledì 24 agosto 2022

Qualche appunto sulla filosofia di Aleksandr Gelʹevič Dugin

 

Non sono uno studioso della filosofia di Dugin e non mi sono preso la briga di leggere per intero il suo «Философиа войны» (Moskwa, Яуэа, 2004). La parte introduttiva dell’opera basta (e avanza) per farsi un’idea della impostazione del suo pensiero.

1. Труд и Капитал. Quella che di norma viene chiamata lotta di classe, in Dugin assume l’aspetto di una lotta teogonica tra Lavoro e Capitale, scritti così, con la maiuscola, come se fossero forze naturali personificate alla maniera di Esiodo. Che Dugin ragioni per coppie di opposti che sembrano possedere una propria soggettività, verrà confermato più avanti, quando il filosofo scenderà sul campo della geopolitica.

Pur mitologizzata, la lotta tra capitale e lavoro è ricondotta, metodologicamente, e più o meno correttamente, alle corrispondenti categorie marxiane. L’apparente ortodossia è finalizzata alla conclusione che, per l’insufficiente sviluppo delle forze produttive – così come predetto da Marx – la Rivoluzione in Russia non sarebbe mai potuta accadere.

Se dunque la rivoluzione c’è stata, deve essere stata determinata da fattori diversi dal meccanicismo della lotta di classe, e più precisamente sotto la spinta di una serie di elementi volontaristici e spirituali (messianesimo nazionale – diffuso tra gli Ebrei russi e dell’Europa orientale, tendenze al settarismo millenaristico – comuni al popolo e a settori intellettuali, stile cospirativo – incarnato nel leninismo e poi nello stalinismo).

Messe a nudo le radici medievali della Rivoluzione d’Ottobre, diventa facile l’analogia con l’analogo (ma meno radicale ) cocktail di ingredienti alla base «della vittoria di un'altra forza anticapitalista, che è riuscita a realizzare in pratica una rivoluzione quasi socialista , ovvero il Fascismo italiano e il nazionalsocialismo tedesco».

Qui si comprende in tutta la sua portata l’occasione perduta: «il rifiuto dello stesso sistema sovietico di trarre le conclusioni ideologiche più importanti – con la necessaria correzione delle visioni culturali e filosofiche di Marx – dal proprio successo, che avrebbe potuto, a sua volta, facilitare un dialogo produttivo con il fascismo, soprattutto nella sue versioni di sinistra».

Per Dugin resta questione di poco conto il fatto che questo benedetto capitale (c minuscola) rimanga, o no, nelle tasche di chi lo detiene, l’importante è averne parlato male. Infatti, accanto a fascismo e nazismo, come partner sventatamente perduto del fronte unito del Lavoro (L maiuscola) aggiunge la socialdemocrazia in tutte le sue varianti.

Per noi Italiani, tutto ciò non dovrebbe costituire una novità. Teorie politiche analoghe (compresa qualche mistica nebulosità) furono sostenute sia da Bombacci che dalla sinistra corporativa, per tutto il ventennio e particolarmente durante la RSI. Nel dopoguerra, Stanis Ruinas, dalle colonne del suo periodico «Il Pensiero Nazionale», si adoperò per traghettare a sinistra gli elementi più coerenti di questa tendenza di pensiero, e così il PCI, accanto a tanti deputati provenienti dalle fila partigiane, ne ebbe uno che aveva combattuto nella X MAS.

Ma il meccanismo del processo era esattamente l’opposto di quello teorizzato da Dugin: depurare il nucleo di pensiero sociale concreto dalla sovrastruttura spiritualistica di vent’anni di educazione fascista (separare il fascismo aggettivo dal fascismo sostantivo, avrebbe detto Vittorini).

2. Море и Суше. Sul piano geopolitico, Mare e Terra sono assunti esplicitamente come coppia teleologica, soggetti, dunque, di un finalismo (forse già insito nella Creazione che provvede tempestivamente a separarne le masse).

«Sono sinonimi di un'altra coppia: Ovest - Est, dove si considerano Ovest e Est non solo come concetti geografici, ma come blocchi di civiltà».

Il mare incarna il concetto di perenne movimento, agitazione (ажитацию), mentre la terra incarna il principio di costanza, fissità, conservatorismo (консерватизма). Qui la contemporanea filosofia di Dugin flirta con un linguaggio (e forse con una Weltanschauung) presocratica.

Questa riedizione della querelle tra essere e divenire sottende ulteriori coppie oppositive:

                                   Terra (est) – gerarchia / Mare (ovest) – caos

                                   Terra (est) – ordine / Mare (ovest) – dissoluzione

                                   Terra (est) – maschile / Mare (ovest) – femminile

                                   Terra (Est) – tradizione / Mare (ovest) – modernità

                                   ...

Evidentemente, nella sua rivisitazione, Dugin ignora Eraclito, perché queste opposizioni devono rimanere inconciliabili e non possono diventare poli dialettici. Che nella polarizzazione sia implicito un giudizio valoriale, è detto esplicitamente: «solo una civiltà terrestre fornisce una base sacra, giuridica, etica che può fissare sistemi di valori».

La penultima incarnazione storica di questa eterna disputa ha visto schierati gli USA, e la NATO, contro l’URSS e il Patto di Varsavia, e quest’ultimo blocco, in barba alle tante pagine sprecate sul materialismo dialettico, era posto a difesa dell’immobilismo, del vecchio, del regressivo e dell’ordine, tanto simbolico quanto costituito.

Tale confronto bipolare era però viziato in partenza dalla precedente avventura delle Potenze dell’Asse, la cui sconfitta aveva dato titolo alle potenze del Mare di spezzare l’unità eurasiatica.

Due rimedi, afferma Dugin sulla scorta di Jean Thiriart (fondatore del movimento eurofascista Jeune Europe), ci sarebbero stati: la conquista dell’intera Europa da parte del blocco socialista o, in alternativa, la dissoluzione della NATO, con una conseguente neutralità dell’Europa Occidentale, che avrebbe permesso all’URSS di far ordine in Asia Centrale. Ma, come sappiamo, le cose non sono andate così.

Il parallelismo (non casuale) tra spiegazione storico-economica e geopolitica della parabola sovietica, suggerisce una nuova serie di termini oppositivi, in cui fa capolino la nozione filosoficamente inquietante di destino:

                        Il destino del Lavoro = il destino della Terra, l'Oriente.

                        Il destino del Capitale = il destino del Mare, l'Occidente

Le uguaglianze sono corroborate da un affascinante apparato analogico: « Il lavoro è fisso, il capitale è liquido. Il Lavoro è creazione di valori, ascesa (=восхождение, etimologicamente «вос-ток» = verso est); il Capitale è sfruttamento, alienazione, caduta (autunno delle cose = грехопадение вещей, etimologicamente «за-пад» = verso ovest ).

L’integrazione delle coppie Lavoro-Capitale e Terra-Mare, permette (forzosamente) una critica anche sul piano economico-politico dell’occidente, critica precedentemente condotta esclusivamente sulla scorta di categorie morali e spirituali: «La civiltà marittima è la civiltà del liberalismo. La civiltà della terra è la civiltà del socialismo. Eurasia, Terra, Oriente, Lavoro, socialismo sono una serie di sinonimi. Atlantismo, Mare, Occidente, Capitale, liberalismo, mercato sono anch’essi sinonimi». Ma, come si vede, questa è una serie di assiomi, indimostrabili per il semplice fatto che mancano i soggetti per tentare una dimostrazione: le classi sociali. Per Dugin Capitale e Lavoro restano valori astratti e non diventano mai capitalisti e lavoratori, soggetti concreti.

 

È naturale che la teoria di sviluppo storico delineata da Dugin si completi con l’argomento etnico-razziale. Confesso di aver letto distrattamente questa parte, e di non poter dar conto dei ragionamenti sulle etnie forti, che credono nel proprio destino e su quelle deboli e rinunciatarie. Considero obsoleta la categoria analitica proposta e non più fondata scientificamente come criterio di ragionamento. Il suo utilizzo non serve che a confermare l’inattualità filosofica di Dugin, fenomeno forse più assimilabile a quello dei predicatori della tanto disprezzata “civiltà del mare”, che non legittimo rappresentante dello sviluppo della filosofia postsovietica.

Giuseppe Veronica