In quanto uomo, m'impegno ad affrontare il rischio dell'annientamento perché due o tre verità gettino sul mondo
la loro luce essenziale (Frantz Fanon)

mercoledì 18 novembre 2015

LA REPUBBLICA DI MAHABAD


La Repubblica di Mahabad fu fondata dal Partito democratico curdo in una piccola regione del Kurdistan iraniano il 22 gennaio 1946. Appoggiata dall'URSS non fu riconosciuta da nessuno stato occidentale, anche se si limitava a chiedere  il riconoscimento dell'autonomia nell'ambito dello stato, con l'uso della propria lingua nell'amministrazione e nelle scuole, senza una vera e propria separazione.
A capo del governo fu posto il liberale Qazi Muhammad, la difesa dell piccola repubblica fu affidata a un curdo iracheno, Mustafa Barzani.
Intanto, in conformità con gli accordi internazionali, l'esercito inglese evacuava l'Iran, come pure l'Armata Rossa si ritirava dalle zone di sua competenza.
Incoragiato dalla Gran Bretagna, l'esercito iraniano mosse con ingenti forze contro la repubblica ormai indifesa.
Qazi Muhammad e i suoi ministri furono impiccati nell'indifferenza dell'Occidente.
Barzani e un pugno dei suoi uomini, dopo una strenua difesa, riuscirono a riparare in URSS. Nel 1958 rientrò in Iran e riprese a combattere con la guerriglia curda.


martedì 17 novembre 2015

LAICISMO ARABO E LUNGIMIRANZA OCCIDENTALE 2

Nasser e gli amici dei Fratelli Musulmani

Gamāl ʿAbd al-Nāṣer fu nominato primo ministro nell'aprile 1954. 
Il 19 ottobre di quell'anno fu siglato un accordo con il Regno Unito per lo sgombero entro 20 mesi delle forze militari britanniche presenti in Egitto. Contro tale accordo fu orchestrata l'opposizione dell'organizzazione islamica dei Fratelli Musulmani. 
Gamāl ʿAbd al-Nāṣer fu fatto oggetto il 26 ottobre di un attentato attribuito ai Fratelli Musulmani. Due giorni dopo l'organizzazione fu sciolta d'autorità; il 30 ottobre i maggiori dirigenti della Fratellanza furono arrestati.
Dopo l'adozione di una Costituzione repubblicana di ispirazione socialista con partito unico il 16 gennaio 1956, Gamāl ʿAbd al-Nāṣer, eletto il 23 giugno Presidente della Repubblica, nazionalizzò il 26 luglio 1956 la Compagnia del Canale di Suez (di proprietà franco-britannica). Questo dette modo al Presidente egiziano di recuperare appieno l'indipendenza del paese ma fornì anche la giustificazione per Francia e Regno Unito per organizzare un'operazione militare congiunta. Israele ne approfittò per aggredire a sua volta l'Egitto, conquistando l'intero Sinai, da Rafah ad al-'Arīsh. il 31 ottobre truppe anglo-francesi bombardarono Il Cairo, e il 5 novembre occuparono Port Saʿīd.
La guerra del 1956 fu interrotta dall'intervento congiunto sovietico-statunitense. Pare che gli USA furono indotti alla mediazione dalla minaccia di un intervento nucleare sovietico su Londra e Parigi. Ma nulla fu fatto per impedire il gioco sporco di Israele, il cui esercito aveva proseguito nell'avanzata dopo l'ordine dell'ONU di cessare il fuoco.
Nei mutati equilibri geopolitici, nel gennaio del 1958 la Siria fu indotta, per rafforzare la sua sicurezza, ad avviare immediatamente un processo di fusione con l'Egitto, dando così origine alla Repubblica Araba Unita (RAU), alla quale presto si aggiunse quella parte dello Yemen che, ad opera del colonnello Sallāl, s'era ribellato all'Imam Yaḥyā e al suo successore Muhammad al-Badr per costituire una repubblica nella zona di territorio sotto il proprio controllo.
Il progetto di una forte repubblica araba laica e progressista non poteva piacere all'Occidente ed era una minaccia per Israele.
Al panarabismo laico di al-Nāṣer si cercò di contrapporre quello conservatore e d'ispirazione religiosa del principe Fayṣal, primo ministro di un Arabia Saudita sull'orlo della bancarotta.
Un colpo di stato filo saudita in Siria faceva tramontare il progetto di Repubblica Araba Unita.
Nel 1967 la disastrosa guerra dei sei giorni avrebbe ulteriormente indebolito il prestigio di al-Nāṣer, che sul piano interno doveva anche fronteggiare le difficoltà derivate dal rifiuto di aderire all'antisovietico Patto di Baghdad, insieme a Iraq, Turchia, Iran, USA e Gran Bretagna, in seguito al quale gli veniva negato l'accesso ai finanziamenti del FMI.
Solo con l'aiuto sovietico poteva essere attuato il progetto della diga di Assuan, strategico per l'economia del paese.
Malgrado tutto ciò, e sebbene avesse perduto molto appeal nei confronti delle masse arabe,  al-Nāṣer mantenne un fortissimo consenso popolare in Egitto fino a quando, nel 1970, un provvidenziale attacco cardiaco lo levò di scena.



LAICISMO ARABO E LUNGIMIRANZA OCCIDENTALE 1

L'Iran di Mossadeq

Nel 1951 Mohammad Mossadeq giunse al potere col progetto di stabilire una concreta democrazia e d'instaurare una monarchia costituzionale. Mossadeq fu eletto Primo Ministro all'unanimità per la sua nota avversione al rinnovo della concessione petrolifera dell'Anglo-Iranian Oil Company del 1933.
Mossadeq procedette subito a nazionalizzare l'industria iraniana degli idrocarburi, che era allora sotto il pieno controllo del Regno Unito. La reazione inglese fu molto dura e ne scaturì la crisi di Abadan, un accanito confronto, durato tre anni, nel corso del quale le potenze europee boicottarono il petrolio della Persia. Quest'ultima, fin dall'inizio commise la grave leggerezza di ritenere che gli Stati Uniti, che non avevano interessi nella Anglo-Iranian Oil Company, avrebbero sostenuto il suo piano di nazionalizzazione. La posizione degli Stati Uniti d'America nella crisi di Abadan registrò invece un'involuzione, passando lentamente da un chiaro sostegno a Mossaddeq, accompagnato da un invito a trovare una soluzione di compromesso con il Regno Unito, a un progressivo allineamento con le posizioni di Londra.
Nonostante l'aperta contrarietà di Mosaddeq per il socialismo, Winston Churchill – assolutamente determinato a difendere gli interessi britannici nel Vicino Oriente – denunciò agli USA che Mosaddeq non era in grado di gestire un Paese in preda al caos e che stava "progressivamente propendendo verso il comunismo". In piena guerra di Corea Washington temeva che Mossadeq stesse involontariamente aprendo la porta ad una penetrazione dell'Unione Sovietica. In quel periodo di Guerra fredda caratterizzato da forti paure, non sempre sensate, l'America finì per accettare i piani britannici per far cadere Mossadeq. Londra chiese aiuto a Washington perché nell'ottobre 1952 Mossadeq aveva chiuso l'Ambasciata britannica. D'altro canto, Mossadeq si era indebolito sul piano interno, perché aveva perso anche il sostegno del "clero" sciita, allora guidato dall'ayatollah Kashani, che non gradiva le sue riforme sociali.
Sotto la direzione di Kermit Roosevelt, Jr., un esperto dirigente della Central Intelligence Agency (CIA) e nipote del presidente statunitense Theodore Roosevelt, la CIA e il britannico Secret Intelligence Service (SIS) organizzarono un'operazione coperta, l'Operazione Ajax,  per deporre Mosaddeq con l'aiuto delle forze armate leali allo Scià e sostituirlo con il generale Fażlollah Zahedi. Sebbene il piano fosse ben coordinato e pianificato, il colpo di Stato fallì, inducendo lo Scià a cercare rifugio a Baghdad e poi a Roma.
La resistenza dei nazionalisti e il sostegno di cui godevano nel paese era stato sottovalutato dagli organizzatori del colpo di Stato. Entro breve tempo, comunque, i lealisti sostenuti dagli anglo-americani la spuntarono. Ad una grande manifestazione pro-Mossadeq alla notizia dello sventato colpo di Stato, seguì l'indomani una grande manifestazione contro Mossadeq e in favore dello Scià sostenuta anche dal clero sciita militante guidato dall'ayatollah Kashani. Partita dal Bazar di Teheran la manifestazione fu rinforzata da reparti militari e carri armati che diedero l'assalto alla residenza di Mossadeq. Il sovrano poté quindi fare ritorno a Teheran, Zahedi fu nominato Primo ministro e Mossadeq, dopo un processo farsa, fu condannato a morte. Lo Scià commutò in seguito la condanna in esilio e arresti domiciliari perpetui.

domenica 14 giugno 2015

dal Bombastium alle lenticchie di Babilonia

Nel racconto Zio Paperone e il tesoro sotto zero (Barks, 1957) zio Paperone si reca a un'asta dove è messo all'incanto un raro elemento dalle proprietà ancora ignote, il Bombastium.
All'asta, zio Paperone deve competere con l'emissario di Brutopia, che rappresenta, ovviamente l'URSS.
Giunto al massimo dell'offerta in denaro che può sostenere, l'ambasciatore di Brutopia offre, in soprammercato, tutti i lavandini del suo felice popolo. 
Appurato che il felice popolo di Brutopia possiede in tutto 5 lavandini, Paperone si aggiudica l'asta offrendone 6.
Al di là della divertente, anche se grossolana, satira anticomunista di Barks, il racconto mostra come, fino alla fine degli anni 50 il denaro fosse equivalente alla ricchezza materiale prodotta.
Zio Paperone e le lenticchie di Babilonia, di romano Scarpa è di pochi anni dopo, 1960.
Qui, Paperone, scopertosi ghiotto di lenticchie in scatola, cucinate secondo un'antica ricetta babilonese, vuole accaparrarsene la produzione.
Ma faticherà non poco a risalire ai proprietari, inseguendo una girandola di imprese import-export che, dopo aver fatto il giro del mondo, torna al punto di partenza.
In realtà i proprietari sono i Bassotti, che non hanno nessun interesse a commercializzare il prodotto (vi hanno addirittura addizionato dell'olio di lino per renderlo sgradevole al palato), ma che guadagnano esclusivamente sui cambi valutari e riescono a reinportare il loro scatolame, rimettendolo in continua circolazione, pagandolo un po' meno del prezzo a cui lo hanno venduto.
Solo tre anni dopo il bombastium, in cui il denaro era equivalente ai lavandini, e dunque al prodotto dell'economia reale, il denaro si è già svincolato dalla produzione.
In pieno boom economico trapelano le prime avvisaglie della finanziarizzazione dell'economia.

mercoledì 27 maggio 2015

martedì 5 maggio 2015

un circolo su facebook

prossime iniziative pubbliche
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sabato 2 maggio 2015

Grover Furr sulle fosse di Katyn

Stalin non è colpevole del maggiore crimine di guerra addebitatogli 

Lo storico  Grover Furr solleva il caso che l'infame massacro di Katyn, in cui 14.000 soldati polacchi, per lo più ufficiali, sarebbero stati uccisi dal KGB, fu un inganno nazista.

Abbiamo intervistato il professore americano Grover Furr, una figura controversa nel mondo degli osservatori della Russia, perché la sua posizione di base è che Stalin non era il mostro che l’opinione comunemente accettata pensa che fosse, e che fu ingiustamente diffamato per ragioni politiche dai dirigenti sovietici che gli succedettero, con il resto del mondo pronto a saltare volentieri sul carro. Non sappiamo se questo punto di vista sia valido o non, ma lo pubblichiamo qui perché è sempre più popolare in Russia. Voglio capire la Russia? Ecco quello che un sacco di la gente pensa.


Mentre il presidente polacco Bronislaw Komorowski continua a puntare il dito contro la Russia, accusandola per il massacro di Katyn del 1940, un professore americano ha rivelato che fatti concreti dimostrano il contrario,.
Nel corso di un discorso dedicato all'esecuzione di ufficiali polacchi a Katyn nel 1940, il presidente polacco Bronislaw Komorowski, ancora una volta ha accusato l'Unione Sovietica per il massacro e si è spinto fino a dire che "il XX Secolo non conosce crimine paragonabile". Ma se il delitto non aveva mai avuto luogo?
"Nell'aprile del 1943 le autorità naziste tedesche affermarono di aver scoperto migliaia di corpi di ufficiali polacchi uccisi dai funzionari sovietici nel 1940. Dissero di  aver scoperto questi corpi vicino alla foresta di Katyn, nei pressi di Smolensk (Russia occidentale), che è il motivo per cui l'intera vicenda, tra cui esecuzioni e presunte esecuzioni di prigionieri di guerra polacchi ovunque nell’URSS, fu chiamata il massacro di Katyn ", racconta il Dottor Grover Carr Furr, un professore americano, autore ed esperto di primo piano nella storia sovietica, nel suo libro The "Official" Version of the Katyn Massacre Disproven?
Il professor Grover Furr ha messo in dubbio il racconto "ufficiale", che attribuisce la colpa del massacro di Katyn all'Unione Sovietica, in accordo con la versione diffusa da Joseph Goebbels, ministro della Propaganda del Reich della Germania nazista, nel 1943.
L'autore ha smascherato le idee sbagliate più comuni che circondano la tragedia di Katyn e ha sottolineato che gli elementi probatori per il punto di vista "ufficiale" sono sorprendentemente "esili". Va notato che molti ricercatori di solito si riferiscono al "Closed Packet No. 1", la mano tesa dell'amministrazione Eltsin alle autorità polacche nel 1992. Esso conteneva documenti che, se autentici, potrebbero provare la colpevolezza dell'URSS nell’omicidio di massa di Katyn.
Tuttavia, l'autenticità del documento solleva interrogativi.
Il professor Furr ha sottolineato: "Nel mese di ottobre 2010 è stata fatto l’ipotesi credibile che i documenti della "pistola fumante” [il "Closed Packet No. 1”] sono falsi. I materiali addotti dal membro della Duma [della Russia] Victor Iliukhin nell'ottobre 2010, costituiscono la prova più forte finora che questi documenti potrebbero essere falsi ".
Infatti, Victor Iliukhin ha rivelato che il documento principale del "Closed Packet No. 1" – una nota di Lavrentiy Beria, con cui si chiede la pena capitale per 14.000 prigionieri di guerra e civili polacchi, firmata da Stalin nel 1940 – è stato fabbricato negli ultimi anni ‘80. Il membro della Duma ha suggerito che preminenti figure della "Perestroika" – come Alexander Yakovlev, Dmitri Volkogonov, Rudolf Pikhoya e altri – avrebbero potuto essere dietro la falsificazione.
Ma mettiamo da parte i documenti della "pistola fumante”, ha osservato il professore, indicando le ultime scoperte fatte da un gruppo archeologico polacco-ucraino giunto nel 2011-2012 nella città ucraina di Volodymyr-Volynskiy, direttamente legata ai fatti del massacro di Katyn.
Il gruppo scoprì una fossa comune identificata dagli specialisti come una tipica fossa comune di "manifattura tedesca". Citando il Dr. Dominika Sieminska, il capo della squadra archeologica polacca, il professor Furr ha sottolineato che le vittime sepolte nella fossa comune furono assassinati non prima del fine del 1941 o 1942.
Inoltre, il 98.67 per cento dei bossoli presenti sul sito erano di fabbricazione tedesca del 1941, secondo il rapporto polacco. Anche resti di donne e bambini erano stati trovati nella fossa comune.
Ma il fatto più sorprendente è che i ricercatori polacchi hanno anche portato alla luce i resti, distintivi metallici, spalline e bottoni che appartenevano ai poliziotti polacchi che si riteneva fossero stati uccisi in un cosiddetto "massacro di Katyn", nel 1940.
Va notato che le munizioni tedesco sono state trovate in altri siti relativi al caso Katyn.
Sorprendentemente, Joseph Goebbels scrisse nei suoi diari l’8 maggio 1943: "Purtroppo, munizioni tedesche sono state trovate in tombe a Katyn ... È essenziale che questo incidente rimanga top secret. Se dovesse venire a conoscenza del nemico tutta la vicenda di Katyn verrebbe a cadere".
Il professor Furr ha analizzato una serie di altri documenti e fatti importanti, che vengono presentati come "ampie prove" della colpevolezza dei sovietici dai sostenitori della "versione ufficiale". Egli ha dimostrato che molte supposizioni basate su questi documenti cadono a pezzi ad un attento esame .
Tuttavia, il professor Grover Furr ha sottolineato che è probabile che i sovietici potrebbero aver giustiziato un certo numero di polacchi per i reati militari commessi dalle forze armate polacche durante la guerra russo-polacca del 1920-21 e l'occupazione polacca della Bielorussia occidentale e Ucraina occidentale. Il professore ha sottolineato: "Da qualche parte tra 18.000 e 60.000 prigionieri di guerra dell'Armata Rossa, prigionieri dei polacchi, erano morti. C'è una buona documentazione che erano stati trattati brutalmente, affamati, congelati, e molti di loro assassinati direttamente".
Ancora, dal momento che "non ci sono prove che i 14.000 prigionieri di guerra polacchi che erano stati trasferiti dai campi di prigionia sovietici nel mese di aprile e maggio 1940 siano stati trasferiti in realtà per essere fucilati", l'autore ha concluso: "Le scoperte nelle fosse comuni in Volodymyr- Volynskiy costituiscono un colpo mortale per la ‘versione ufficiale’ del massacro di Katyn".
"Sono tornato indietro e riesaminato le prove più volte da quando ho pubblicato questo articolo. Sono ancora sorpreso che una storia così importante si fondi su una base così sottile di prove. L'unica prova "reale" sono i documenti di "Closed Packet No.1", il professor Grover Furr ha detto a Russia Insider.
"In ogni caso il ritrovamento di quei poliziotti polacchi nella fossa comune a Volodymyr-Volynskiy demolisce la"versione ufficiale". E non c'è altra versione! Pertanto, l'unico modo per "salvare" la versione ufficiale è quella di sopprimere i risultati dei VV [Volodymyr-Volynskiy] scavi. E i funzionari polacchi e ucraini l’hanno fatto. Inoltre, attenersi ai documenti del "Closed Packet No. 1" significa sopprimere l'interpretazione che ne da Viktor Iliukhin", ha aggiunto.
Il professor Furr ha lamentato che alti funzionari russi e i principali media continuano a sostenere la "versione ufficiale" del massacro di Katyn.
"Katyn è il meglio documentato ‘crimine dello stalinismo’. Se ammettono che la "versione ufficiale" di Katyn è una menzogna, quanti altri potrebbero rivelarsi falsi? E allora, qual è la giustificazione ideologica per la dissoluzione dell'URSS?”, chiede il professor Grover Furr.
La storia del massacro di Katyn, comunemente utilizzata come strumento di propaganda sia da Varsavia che da Washington, s uscita molte polemiche in Russia e in Occidente. Un sacco di domande son rimaste senza risposta, e solo una nuova indagine globale sul caso Katyn potrebbe finalmente chiarire la verità e ristabilire la giustizia.

giovedì 30 aprile 2015

LETTERA CON LEZIONE DI METODO

Questa lezione la dedico a un mio allievo in pectore che chiamerò, per rispetto della privacy,  Pollione.

Caro Pollione,
qualche giorno fa, hai dichiarato in un post il tuo orgoglio per aver studiato nella scuola media dedicata a Monsignor Leone Ossola, il vescovo cittadino passato alla storia come defensor civitatis per la sua trattativa del 26 aprile 1945 che indusse tedeschi e fascisti, ormai sconfitti, alla resa senza ulteriori resistenze che avrebbero senz'altro provocato altro spergimento di sangue.
Ti invitavo, tra il srerio e il faceto, a non abbandonarti a facili entusiasmi senza un minimo d'approfondimento e di rifarti un po' a quella cultura del sospetto tanto di moda negli anni 70.
Un libro di Laura Ceci (Il Papa non deve parlare. Chiesa, fascismo e guerra d'Etiopia) mi aveva fatto rizzar le antenne.
Le leggi razziali del 38, sono in parte anticipate, nelle colonie per l'azione di Alessandro Lessona, ministro competente, che fa approvare una legge che punisce severamente ogni tipo di concubinato di un cittadino italiano con «una persona suddita dell'Africa orientale» Ai primi di agosto del 1937 il ministro Lessona chiede al nunzio vaticano in Italia, Francesco Borgongini Duca, un appoggio diretto della Santa Sede alla legislazione razziale, per scongiurare il rischio concreto di una proliferazione dei meticci. Infatti, «disgraziatamente», i figli nati dall'amplesso di uomini bianchi con donne nere «portano sommati i difetti e non i pregi delle due razze». La richiesta arriva a Pio XI, che incarica di un parere il cardinale Domenico Jorio, prefetto della Congregazione dei sacramenti, il quale, il 24 agosto successivo, gli risponde: che la Chiesa avrebbe effettivamente potuto, anzi avrebbe dovuto collaborare — «nei giusti limiti» del diritto canonico — alla campagna per la «sanità della razza». Le «ibride unioni» andavano impedite «per i saggi motivi igienico-sociali intesi dallo Stato»: «la sconvenienza di un coniugio fra un bianco e un negro», e «le accresciute deficienze morali nel carattere della prole nascitura». Tutte le citazioni riportate le trovi anche in un articolo del 5 novembre 2008 di Sergio Luzzatto per il Corriere della Sera, che trovi anche in rete.
Or bene, papa Ratti approva la relazione di Jorio, che viene trasmessa alla nunziatura apostolica il 31 agosto. Il 22 settembre Leone Ossola viene consacrato vescovo e nominato vicario apostolico di Harar, in Etiopia.
Le coincidenze spazio temporali mi avevano allertato e te le ho segnalate, ma tu, saggiamente (hoc post hoc non è hoc propter hoc) mi hai risposto che di per sé significavano poco. Ne convenivo con te, queste congetture sono motivo di ricerca e non la ricerca stessa.
Pensavo, avendoti messa la pulce nell'orecchio, che la facessi tu, comunque io qualcosa ho trovato.
Sempre sul web puoi trovare la tesi di dottorato di Antonio Cataldi, I missionari cattolici italiani nell’Etiopia occupata (1936-1943), molto ben documentata.
Qui apprendiamo (pag. 203) che Ossola aveva iniziato il suo apostolato nel clima di segregazione razziale avviato dalla legge Lessona del 1937, e per evitare inconvenienti con le autorità civili pensò di costituire delle parrocchie separate: quelle per i connazionali, rette da sacerdoti italiani e quelle per gli indigeni rette da sacerdoti indigeni. Qui, a ben vedere, il buon vescovo affronta la questione del concubinaggio con un po' d'eccesso di zelo. Il dubbio deve averlo sfidato, giacché chiede il lumi al cardinale della Propaganda Fide che, sia pur con diplomazia, non esita a correggerlo, consigliando che sarebbe stata buona cosa “dove fosse possibile, la convivenza in una parrocchia di un missionario e di un sacerdote indigeno. Una divisione netta non appare infatti troppo conforme all’affratellamento dei popoli nella carità di Cristo, secondo lo spirito della Chiesa”.
Ossola sembra, in questa occasione, più realista del re, ma nache nei rapporti col clero indigeno, sembra manifestare un concetto di carità molto allineato con le idee correnti di allora, “…Questi benedetti neri non ne vogliono sapere di lavorare: sembra che per essi non esista il verdetto divino in sudore vultus tui verceris pane tuo” (pag. 205).
Vi è però da dire che cercò di appianare le divergenze tra clero locale e missionari, fissando per entrambi un'identica retribuzione per la celebrazione della messa.
Tutta la questione viene comunque affrontata nella I Conferenza dei vescovi cattolici dell'AOI, a cui è presente Ossola, presieduta dall’arcivescovo Giovanni Maria Emidio Castellani, delegato apostolico per l’Africa Orientale Italiana, e arcivescovo di Addis Abeba (17-21 dicembre 1937). Qui, da parte di Venanzio Filippini vicario apostolico di Mogadiscio venne poi sollevata la questione della mescolanza tra bianchi e neri nelle chiese, fino a che punto fosse lecita o se occorreva disciplinarla in qualche modo. La risposta dei vescovi fu collegiale, i quali deliberarono che agli indigeni dovevano essere riservate delle celebrazioni religiose separate, da svolgersi in prima mattinata. Per i bianchi invece -che poi erano al novantanove per cento gli italiani -, andavano riservate delle liturgie in orari più comodi e “meno mattinieri Dai verbali della riunione del 19 dicembre, in cui fu affrontata la questione, non risultano obiezioni manifestate da chicchessia. In quelli del giorno successivo, in cui il vescovo indigeno Mariam Cassa contestò aspramente la decisione, non risultano repliche.
Il giudizio storico di parte cattolica, per il quale gli uomini di chiesa non avrebbero percepito la portata razzista del decreto Lissona, considerandola solo come utile mezzo per la moralizzazione della vita coloniale, sembra smentito proprio dalla decisione dei vescovi, non si comprende bene quale ordine sociale e quale moralità pubblica potevano essere minacciati mai dallo svolgimento di celebrazioni religiose cattoliche in cui partecipavano insieme bianchi e neri. (pp. 303-309).
I vescovi dell'Africa Orientale Italiana (Ossola compreso) sono dunque propensi a un'interpretazione estensiva del decreto Lissona.
Nè si può invocare a difesa la prudenza nei confronti del regime, perché, su altre questioni, dimostrano, invece, una ben diversa elasticitò di giudizio.
Il ministro Lissona ha diramato anche un regolamento sull'insegnamento religioso nelle scuole, dove aveva previsto, all’interno della strategia governativa di distensione verso gli ortodossi e i musulmani, di offrire ai religiosi delle due confessioni la possibilità di catechizzare nel proprio credo quegli alunni provenienti da famiglie ortodosse od islamiche.
Ma su questo, i vescovi riuniti non hanno tema di contrastare il regime. Afferma, infatti l'arcivescovo: “… bisogna curare che le disposizioni del Regolamento Lessona riguardante l’insegnamento catechistico della rispettiva religione nella lingua materna, restino lettera morta … per i copti vi sono le loro chiese dove possono essere istruiti senza che uno scismatico sia ammesso alle nostre scuole, e per i mussulmani vi sono le loro moschee” (pp. 312-313).
Insomma, due pesi e due misure.
E questo è, per ora, tutto. Certo, tutto va contestualizzato nella cultura del tempo e non giudicato con il metro della nostra attuale sensibilità e dunque quel poco che ora sappiamo di più non basta per mutare in denigrazione il giudizio su Leone Ossola, così come quel pochissimo che se ne sapeva prima non bastava per la sua esaltazione.
Direi che la lezione che ne segue è che, prima di azzardare giudizi netti, bisogna fare la fatica di cercarsi e leggersi le carte.
Certe volte non cìè neanche bisogno di andarle a cercare, sono sotto gli occhi.

lunedì 16 marzo 2015

50 sfumature di...

Quando eravamo piccoli, mia mamma ci accompagnava periodicamente dal barbiere. Senza sfumatura, raccomandava.
Le sfumature le incontrammo di lì a poco, nella scuola media, dove ci trovammo a che fare, senza nessuna spiegazione preventiva, con il chiaroscuro.
Lì ci accorgemmo che tra il bianco e il nero delle scuole elementari esisteva non solo il grigio, ma tutte le sue sfumature.
Anche il discorso aveva le sue sfumature e avevamo imparato a distinguere, nelle parole dei nostri professori il tono assertivo, quello ironico e quello sarcastico (che tendeva all'inflazione). La sfumatura del dubbio non l'apprendemmo e ci mancò anche quella di un'autentica affettività.
Ma a cosa corrispondesse, concettualmente una sfumatura dovevo impararlo solo al liceo. Qui, la scoperta della dialettica mi insegnò che tra tesi e antitesi c'è sempre la possibilità della sintesi e che questo ci svincolava dalla sterilità del tertium non datur della logica classica.
Facevo IV elementare, quando l'Olivetti, con il progetto Elea aveva praticamente inventato l'odierno computer. La miopia del capitale finanziario nostrano (Mediobanca) e l'abituale acquiescenza governativa ai voleri del padronato, l'avevano però fatto celermente archiviare, quindi l'irrinunciabile marchingegno , lo incontrai che ero già uomo fatto.
Del computer non possiamo fare a meno, le sue prestazioni per la velocità con cui fornisce informazioni e la quantità di informazioni che può fornire, sono imbattibili.
Ma funziona per circuiti integrati regolati da una logica binaria, ci sono solo lo zero e l'uno, il si o il no, l'aperto o il chiuso.
Quindi, mettiamoci il cuore in pace, per il computer o sarà bianco, o sarà nero. Al grigio non ci arriverà mai, non sa fare la sintesi.
Probabilmente anche il nostro cervello funziona così, ma non la nostra mente. Ciò comunque basta a far immaginare alla fantascienza che in un domani si possa fabbricare un computer che ragioni come un uomo.
Nell'attesa, è più facile fabbricare uomini che pensino come computer.
Da quando non ci sono più le mezze stagioni, cominciamo un po' tutti a ragionare con la logica binaria del computer, complice anche il tentativo (ormai fallito) di instaurare un regime bipolare (come certe malattie) che esclude ogni terzo incomodo. O forse a causa dell'eccesso di referendum che ci invitano a pensare in termini disgiuntivi: o si o no.
Persino sulla guerra dobbiamo dire si o no, senza se e senza ma, come se la guerra fascista o quella partigiana fossero la stessa cosa.
Quotidianamente applicata, questa logica accelera la dialettica dell'illuminismo che fa si che i liberatori di ieri diventino i padroni di oggi.

La macchina non può sbagliare, chi è favorevole alla famiglia gay è per la libertà, chi vuole la famiglia tradizionale è contro la libertà.
Per la vecchia logica dialettica, invece, era per la libertà chi pensava che sulla famiglia ognuno fosse libero di pensarla come voleva.
Bei tempi.




domenica 22 febbraio 2015

CAMBIARE ROTTA 1

MOVIMENTISMO E IPOTECA SOCIALISTA
Il movimento per il movimento, la mobilitazione permanente ma senza esito delle masse, l'antagonismo soffuso del romantico fascino dei perdenti hanno un padre nobile, Eduard Bernstein, che in seno alla Seconda Internazionale agitava la parola d'ordine il movimento è tutto, il fine è nulla.
Ma anche il suo antagonista, Karl Kautsky, pur non rinnegando il programma finale della presa del potere da parte dei lavoratori, nell'attesa concentrava le forze su obiettivi di allargamento della democrazia, suffragio universale, voto femminile, e di miglioramento della legislazione del lavoro.
Strategia per l'uno, tattica per l'altro, il movimentismo era per entrambi l'alfa e l'omega dell'azione del partito. 
La mobilitazione continua fece grande il partito, la SPD, sul piano elettorale, ma un partito che cresce nell'orizzonte immediato e effimero di obiettivi parziali, senza porre la prospettiva del superamento dell'ordine esistente, è uno strumento che serve a ben poco.
E lo si vide alla prova dei fatti, quando il grande partito socialdemocratico tedesco, chiuso nella sua prospettiva nazionale, voterà i crediti di guerra.
Anche in Italia nel Partito Socialista convivono diverse anime, ma la direzione è saldamente in mano ai massimalisti.
Anche in Italia il movimento è continuo e il partito cresce, ma altrettanto inutilmente.
Nel 1920 le fabbriche sono occupate. Un accordo tra Confederazione Generale del Lavoro e Partito Socialista prevede che sia quest'ultimo ad assumere la direzione della lotta quando questa ha assunto un carattere politico e non di semplice rivendicazione sindacale. Ma Egidio Gennari, segretario del PS, decide di non avvalersene e il grande movimento si dissolve nell'accordo economico mediato dalla CGL di D'Aragona.
Eppure Gennari non è un revisionista. L'anno successivo, a Livorno, andrà con i comunisti e morirà esule a Mosca, ma sa di non poter contare su un partito socialista tanto pronto a sostenere il movimento, quanto a risolverlo in se stesso. Ogni tentativo di fare un passo avanti avrebbe come unico risultato la distruzione delle nascenti frazioni comuniste del triangolo industriale e del napoletano.
Anche i socialisti italiani sconteranno, di lì a poco, il fio del loro impotente movimentismo, quando non riusciranno ad arginare, malgrado l'enorme forza parlamentare, l'avvento del fascismo.
L'EREDITA' DELLA II INTERNAZIONALE E IL FASCINO BORGHESE DELLA IV
In Europa il socialismo sopravviverà alla guerra nelle forme della socialdemocrazia. Ma l'Italia farà eccezione e per molto tempo il socialismo italiano conserverà i tratti genuini dell'antico massimalismo, resistendo alle lusinghe riformiste.
Nel dopoguerra il partito socialista può contare su autorevoli e degnissimi dirigenti, Pietro Nenni, Riccardo Lombardi, Rodolfo Morandi, Alberto Jacometti, Sandro Pertini e moltissimi altri.
Tutti costoro approdarono, alfine, ad una concezione riformista, intesa nel suo aspetto migliore, che nulla aveva a che fare con le vergognose subalternità al padrone dei loro pretesi eredi di oggi, ma ci fu chi non approdò mai a questo lido: Lelio Basso.
Lelio Basso può essere considerato il padre di tutte le iniziative più coerenti di una sinistra socialista che ha ancora riferimenti di classe.
In particolar modo sarà l'ispiratore di quegli intellettuali e di quei movimenti che faranno riferimento alla soggettività di classe, come Gianni Bosio, Raniero Panzieri e Mario Tronti e dunque anche dell'operaismo postsessantottesco.
La parabola politica dei tentativi di organizzare la lotta a partire dall'identità sociologica di classe sarà inesorabilmente attratta da due punti di fuga opposti e simmetrici, il riflusso tradunionista e il salto nel buio del volontarismo guerrigliero. Due vicoli ciechi.
Basso, a differenza dei suoi compagni del PSI, non si farà attrarre dalla stanza dei bottoni e dalla prospettiva del centrosinistra, ma in compenso sarà il primo a rompere con l'unità d'azione con il PCI, per il rifiuto di ciò che, allora, veniva sbrigativamente chiamato stalinismo, ma che altro non era - morto da cinque anni Stalin - che il rifiuto della subalternità alle esigenze della politica estera sovietica.
L'involuzione dell'URSS è uno dei grandi fattori della dinamica delle idee del tempo, ma prima di affrontare questa questione sarà utile dare un giudizio sintetico sul movimento socialista del dopoguerra.
Nessuno mette in dubbio l'onestà intellettuale dei dirigenti del PSI di allora, ma la bontà di una scelta si valuta dai suoi risultati. Craxi sarà il punto di arrivo di un percorso accidentato in cui la scelta riformista porta inesorabilmente alla riunificazione con una socialdemocrazia made in USA che concepisce già l'idea di una politica il cui scopo ultimo non è l'attuazione di un qualsivoglia programma, ma la propria autocratica sopravvivenza. I mezzi, come in ogni perversione, diventano fini.
A Basso, che darà vita al PSIUP, non sono imputabili personali scelte socialriformiste, ma nel sottobosco che orbita nella sua ombra ideologica non sono pochi i movimenti che involvono rapidamente nella meno nobile delle socialdemocrazie.
La sinistra socialista ha ereditato certi connotati illuministi e risorgimentali delle sue origini ottocentesche, è intransigente, laica, libertaria, incline al culto del ribelle. L'entrismo  trotzkista l'ha scelta come campo d'azione.
Numerosi sono i gruppi di manifesta o implicita ispirazione trotzkista che agiscono dentro e ai margini della sinistra socialista. Gli esordi sono roboanti e rivoluzionari, ma il finale è immancabilmente in braccio a Saragat.
Ricordiamo, ad esempio Carlo Andreoni, partigiano socialista che nel gennaio 1945 partecipa a Napoli al congresso della Frazione di Sinistra dei Comunisti e dei Socialisti Italiani . Nell'estate del 1946 organizza il MRP, Movimento di Resistenza Partigiana che organizza un poco più che simbolico ritorno in montagna di partigiani armati. Conclude la sua carriera come direttore de L'Umanità, organo dello PSDI.
Ancora più illuminante il caso di Giulio Seniga, l'infedele segretario che, sottraendo documenti riservati, determinò il ridimensionamento del ruolo politico di Pietro Secchia.
Seniga, dopo l'audace colpo, è tra i promotori del periodico Azione Comunista che dovrebbe essere palestra della dissidenza trotzkista e bordighista. Vuol fare la rivoluzione, ma poi entra nel PSI, ormai in rotta di governo, e fonda e presiede L'Unione Democratica degli Amici d'Israele.
Di Luigi Cavallo, titino, socio di Edgardo Sogno e poi implicato in tutti i più loschi affari dei servizi segreti nazionali e stranieri, non parliamo neppure.
LA CONGIURA DEI BOIARDI E L'INVOLUZIONE DELL'URSS
L'URSS ha dovuto superare durissime prove. Vittoriosamente difesa la rivoluzione dalla coalizione armata dei paesi europei, il nascente stato operaio aveva dovuto addirittura costruire, con l'elettrificazione e l'industrializzazione, il proprio proletariato. L'organizzazione semifeudale dell'agricoltura, infatti, aveva sì creato miseria, ma con il sistema dei servitù della gleba e dei contadini poveri non aveva estratto plusvalore in senso stretto. Di lì a poco si era ritrovata a dover fronteggiare l'invasione nazista, pagando un prezzo altissimo in vite umane e distruzioni.
A tutte queste prove il partito comunista sovietico aveva sempre risposto non facendo ricorso alla tecnica, astrattamente imparziale, ma facendo derivare le scelte da una corretta linea politica.
La lotta era stata aspra, ma necessaria. Se negli anni 30 fossero passate le linee di Bucharin o di Trotzki, l'URSS sarebbe arrivata assolutamente impreparata al conflitto mondiale.
Dopo la guerra l'URSS si ritrova con un enorme buco demografico che farà sentire a lungo le sue conseguenze, un paese da ricostruire e l'accerchiamento sempre più aggressivo delle potenze occidentali.
Stalin, sebbene rimproverato come il teorico del socialismo in un paese solo, punta sull'allargamento del fronte socialista internazionale. Ha firmato gli accordi di Jalta, ma non li ritiene insuperabili, anche se non fa mistero che ogni paese dovrà tentare di farcela, come la Jugoslavia, con le proprie forze.
Così, alla prima riunione del Kominform, nel 1947, le delegazioni del PCI e del PCF vengono aspramente rampognate per non aver saputo sfruttare la forza e il prestigio prodotti dalla Resistenza, facendosi estromettere dai governi e intrappolare dal parlamentarismo.
Ma ala morte di Stalin segue un vero e proprio colpo di stato. La vecchia guardia è liquidata, con esecuzioni poco più che sommarie o l'estromissione da ogni incarico. Alla guida dell'URSS c'è ora un gruppo di oscuri burocrati che costruisce un saldo sistema di potere basato su interessi incrociati e meccanismi di cooptazione.
Da questo momento, l'edificazione del socialismo è abbandonata, anche se la spesa sociale continua. Di fatto non si vuole attaccare il livello di benessere raggiunto dai lavoratori, ma la loro pretesa di potere.
In politica estera la nuova URSS persegue ora una politica da grande potenza, attenta agli equilibri internazionali. Anche là dove, più avanti, la decolonizzazione guarderà all'URSS, mancherà il confronto politico, sostituito dal rapporto tra stati che non esporta coscienza rivoluzionaria, ma tecnocrazia.
Tutto ciò verrà sancito dal XX Congresso del PCUS (1956) e nello stesso anno si scioglie il Kominform.
Non esiste più un confronto internazionale tra partiti comunisti. I partiti comunisti occidentali si limitano a far da spalla alla politica estera sovietica, in cambio di un po' di rubli.
GLI ANNI 60 TRA BOOM E BLUFF
All'inizio degli anni 60 l'Italia porta a termine il processo di modernizzazione faticosamente cominciato da un secolo. Gli impiegati dell'industria superano finalmente quelli dell'agricoltura e il rapporto si evolverà in progressione aritmetica.
Un ondata migratoria interna sconvolge il paese, migliaia di emigranti, dal sud e dal nord est si riversano nel triangolo industriale.
Il decennio è cominciato con un confronto sanguinoso e severo, e le masse hanno dovuto rintuzzare il tentativo di svolta a destra di Tambroni.
Cominciano i governi di centrosinistra, con qualche realizzazione importante, come la scuola media unica e lo statuto dei lavoratori.
Cuba si è liberata dalla dittatura, l'Africa colonizzata lotta per l'indipendenza e i Vietcong tengono testa ai marines americani.
Dovunque sembra spirare un vento di rinnovamento. Nel 1962 si riunisce il Concilio Vaticano II, anche la chiesa è in fermento.
Blue jeans e capelli appena appena lunghi, fanno la loro comparsa le imitazioni autoctone dei teddy boys d'oltreoceano. Per ora la moda fra presa, quando il datore di lavoro lo permette, solo sui ragazzi delle classi inferiori, ma presto travolgerà anche i figli di papà.
In questo clima, alla fine del decennio, maturerà la rivolta studentesca del 68.
Il 68 non mancherà di produrre effetti nella storia del movimento comunista italiano per la proliferazione di gruppi extraparlamentari che rinfocolano il dibattito teorico e rendono popolare, ad esempio, la posizione del Partito Comunista Cinese nei confronti dell'URSS.
Ma il bilancio del 68 come movimento di massa è più culturale che politico e ampiamente compatibile con le necessità di svecchiamento della borghesia.
A fine decennio arriverà il divorzio, mentre sull'onda lunga (1978) si giungerà alla legge che permette l'interruzione di gravidanza e alla chiusura dei manicomi.
UNA SCISSIONE DI DESTRA
Ancora una volta è la sinistra socialista che sembra scavalcare a sinistra i comunisti. Basso e il suo PSIUP sono deboli elettoralmente, ma la debolezza politica è compensata da una certa forza di penetrazione culturale.
La sinistra socialista veicola un marxismo critico che sa di Scuola di Francoforte, frammisto all'operaismo che si sta facendo strada, dopo l'autunno caldo  del 1969, tra la sinistra sindacale.
E' un cocktail affascinante e un po' elitario che sembra evocare socialismi possibili meno deludenti di quello reale, che sui giovani ha scarsissimo appeal.
Si cerca di mettere a fuoco il concetto di democrazia proletaria, ma per quanto l'aggettivo possa resistere a lungo, nei fatti e nell'ordinario dibattito, quell'idea sembra ancora confondersi con l'omonima categoria borghese.
Nel 1957, Galvano Della Volpe ha pubblicato Rousseax e Marx, il libro l'hanno letto in pochi, ma sembrerebbe che tutti abbiano visto il film.
Con Marcuse le categorie della psicanalisi si confondono con quelle del materialismo dialettico, mentre entrano disordinatamente in campo Nietzsche, Lacan e la fenomenologia.
Il caleidoscopio culturale abbacina e occulta un formidabile golpe, celando la silenziosa apparizione di Immanuel Kant che si appresta a trasformare il comunismo da risultato della lotta di classe in fatto etico.
A dargli una mano, maltradotte femministe americane che ci assicurano che il privato è politico.
Nello stato di ebrezza provocato da questa mistura, quelli che dopotutto erano dei bravi compagni danno luogo a una scissione dagli scarsi risultati politici ma gravida di tare ideologiche ereditarie.

FINE DELLA PRIMA PARTE