In quanto uomo, m'impegno ad affrontare il rischio dell'annientamento perché due o tre verità gettino sul mondo
la loro luce essenziale (Frantz Fanon)

martedì 26 febbraio 2013

Democrazia Progressiva

Il Garibaldino 29 marzo 1945, a. II, n. 13, p. 4

Ricostruire

Democrazia progressiva

L'obiettivo che noi proponiamo al popolo italiano da realizzare finita la guerra, sarà quello di creare in Italia un regime democratico e progressivo. (P. Togliatti, dal discorso pronunciato a Napoli l'11-4-1944)
Che si intende per democrazia progressiva? Democrazia significa: governo di popolo. Tutti i partiti politici italiani hano raggiunto un accordo sul piano ricostruttivo del dopoguerra: questo accordo è un regime democratico e progressivo.
Democratico: perché è il popolo che deve comandare sé stesso. Bando alle ricostruzioni capitaliste, brollo cadavere della democrazia borghese, falsa democrazia; bando agli iniqui privilegi del capitale. È il popolo che deve comandare nella ricostruzione della nuova Italia. Esso popolo deve comandare perché, oltre ad avere il diritto derivatogli dal lavoro, dal sudore e dalla fatica, possiede anche un altro diritto sull'attuale classe dirigente: il diritto dell'affamato che deve placare la fame, il diritto della classe oppressa, vilipesa, sanguisugata, durante venti anni di regime.
Basta con la speculazione; via il fascismo!
Eccola la parola d'ordine che diamo al popolo italiano. Le speculazioni del '18-19 non sono più ammissibili nel '45, quando la storia ha marciato nel progresso sociale, il grande plutocrate, l'immenso creso non possono restare con noi, perché opulenza e ricchezza sanno troppo di nero, puzzano troppo di collaborazione antinazionale e fascista.
E la democrazia avrà da essere progressiva. Cioè intaccherà i patrimoni maggiori, poi i medi, infine i minori. La nazione italiana è su di un piano di rovina economica: per rialzarla più in fretta bisogna che qualcuno scenda dal seggio dorato.
Ma progressismo non va inteso soltanto nel senso di attacco al capitale. L'Italia democratica dovrà essere progressista perché dovrà sempre più - cioè progressivamente - dare il potere al popolo. L'Italia democratica dovrà essere progressista perché sempre dovrà evolversi, migliorarsi col progresso. Potere di popolo contro il capitale, dunque, potere di popolo sempre più largo, potere di popolo non retrogrado o stazionario ma all'avanguardia mondiale. L'Italia democratica progressista è garanzia di abolizione d'ogni ritorno fascista, perché fascismo significa tirannide di pochi sulla massa, retrogradismo, speculazione.
Ma nella formula "democrazia progressiva" vediamo anche un'altra essenza.
È la prima volta che vinciamo la battaglia che da anni combattiamo contro i rapporti di produzione. Fino a ieri il lavoratore sudava, il datore di lavoro arricchiva, fino a ieri la disparità di guadagno e di dispersione di energia vitale fra lavoratore e speculatore era troppo evidente; oggi con la formula "democrazia progressiva" vediamo un raccorciamento della disparità, un trionfo del lavoro sul capitale: il primo trionfo.
Democrazia progressiva significa profonda alterazione dei rapporti sociali cioè rapporti di produzione. È il principio della proprietà che s'intacca; oggi non si hanno questioni di classe, oggi non si parla di alleanza classista; oggi si parla di fratellanza di popoli, si lotta per tutto il popolo; via la cricca fascista, via la cricca capitalista, via la cricca monopolista e grande industriale. È il popolo che deve comandare, sono il contadino e il piccolo proprietario terriero che debbono ricevere il profitto del loro lavoro, sono il proletario e il piccolo proprietario industriale che debbono sostituirsi al monopolista.
È già una vittoria, questa, alla quale hanno contribuito tutti i partiti formando il Fronte nazionale prima, il "Fronte di resistenza" poi, il Comitato di Liberazione Nazionale infine.
Il popolo deve prendere il comando fin d'ora, attraverso i C.d.L.N. di città paese e villaggio. Ove non esiste il C.d.L.N. lo si componga; ove già funziona lo si rafforzi. I componenti del C.d.L.N. siano espressi dal popolo, in quanto essi rappresentano tutte le classi, tutte le ideologie e sintetizzano l'attesismo. Sono gli elementi più coraggiosi, gli italiani di avanguardia.
Oggi lottano contro il nemico in armi, domani lotteranno contro il nemico che tenterà un'azione ricostruttrice speculativa e sfruttatrice. In qualche città dell'Italia liberata, si ha un tentativo di ritorno fascista. Non si tratta di fascismo in camicia nera, stavolta; è fascismo mascherato da capitalista, da grande industriale, da potente latifondista. Il popolo di quelle città fatica a prendere le redini del governo, cioè a stabilire un potere democratico, perché non ebbero tempo di formarsi i C.d.L.N., adunarsi attorno ad essi e combattere sotto la loro bandiera. In Italia settentrionale è diverso.
Da oltre diciotto mesi combattiamo tutti uniti contro il nazifascista; da diciotto mesi le città oppresse vivono di fatto non sotto l'ipotetico comando fascista, ma accanto al reale governo del C.d.L.N. clandestino. Già se ne vedono i frutti: la lotta contro il nazifascista si esplica non soltanto col mitra o con lo sten, ma anche con le leggi di potere democratico che urtano quelle fasciste. A Milano, Torino, Genova, ecc. questo inverno si moriva dal freddo: il C.d.L.N. diede ordine di tagliare le piante; la borsa nera s'ingigantiva e il C.d.L.N.A.I. diede ordine ai comitati d'inquilini di combatterla; il patrimonio nazionale se ne andava in Germania e il C.d.L.N.A.I. diede ordine di sabotare i mezzi di trasporto e di nascondere prima che fossero rubati.
Oggi sotto l'oppressione armata fascista, è il popolo che si autocomanda. Come si autocomanderà domani con la formula "democrazia progressiva" contro l'opposizione economica monopolistica e latifondista.

domenica 24 febbraio 2013

appuntamenti



Giovedì 28 febbraio 2013 – ore 21 
al Teatro Nuovo di BORGOMANERO 

da Mercoledì 27 febbraio a domenica 10 marzo
Scuola Media di ROMAGNANO SESIA – Vicolo Asilo, 3 
 Sabato 2 marzo – ore 20,45  
Rappresentazione teatrale e video testimonianza di una superstite dell’incendio.


da lunedì 11 marzo a lunedì 25 marzo 

Scuola Media di ROMAGNANO SESIA – Vicolo Asilo, 3  
LA DONNA NELLA RESISTENZA – Mostra fotografica   


LA DONNA NELLA RESISTENZA – Mostra fotografica  

Una mostra per ricordare il ruolo importante della donna nella Resistenza. Non solo staffette ma anche partigiane combattenti.
Una storia taciuta e sottovalutata. Una mostra ricca di documentazione e di immagini storiche.
Venerdì 15 – ore 20,45 proiezione del documentario
BANDITE – Regia di Alessia Proietti e Giuditta Pellegrini
Esibizione del CORO PIZIO GRETA dell’ANPI di Fontaneto d’Agogna

sabato 23 febbraio 2013

perché Monti è organico al PD


La tecnocrazia finanziaria che domina il mondo non si avvale di grandi personalità, ma di mediocri funzionari, tutti intercambiabili perché tutti identici.
Mario Monti lo avevamo già avuto al governo, ma a quel tempo, si faceva chiamare Padoa-Schioppa.
[da: Solidarietà, anno XIV n. 1, giugno 2006]

Padoa Schioppa, ministro dell’Impero
Una certa idea dell’Europa: negazione della sovranità nazionale e veicolo ideale di poteri oligarchici sovrannazionali

di Claudio Celani

15 giugno 2006 – Tommaso Padoa Schioppa, il nuovo ministro dell’Economia, appartiene alla setta dei sostenitori di un sistema di governo imperiale del mondo. I membri di questa setta sono uniti da un odio viscerale nei confronti del Trattato di Westfalia del 1648, che pose fine alle guerre di religione europee e gettò le basi per il sistema di diritto internazionale basato sull’indipendenza e la sovranità nazionale. Padoa Schioppa e i membri della sua setta sostengono che quel trattato, poiché segnò la nascita degli stati nazionali, fu l’inizio di un percorso che portò alle due guerre mondiali. Essi confondono la nazione con il nazionalismo. Basta leggere il testo del Trattato di Westfalia per smontare queste critiche. Esso stabiliva, nel suo primo articolo, che “la pace deve essere onestamente e seriamente salvaguardata e nutrita, in modo che ogni parte promuove il vantaggio, l’onore e il beneficio dell’altra.” Esso stabiliva, cioè, una comunità di nazioni basata sul principio che ogni membro della comunità aveva il diritto di svilupparsi compiutamente secondo i propri interessi, e il dovere di promuovere lo stesso sviluppo negli altri membri della comunità.
Nel suo ultimo libro (Europa, una pazienza attiva), Padoa Schioppa si scaglia più volte contro il Trattato di West-falia usando argomenti falsi e superficiali. Lo fa citando il Gran Maestro della setta, l’ex consigliere di Tony Blair George Cooper, oggi direttore generale degli affari esteri e politici per il Consiglio dell’Unione Europea e primo consigliere del responsabile di politica estera dell’UE Javier Solana. Cooper, scrive Schioppa, “ritiene che il 1989 abbia rotto il corso della storia europea (e forse planetaria) assai più profondamente di altri anni simbolo, quali il 1789, il 1815 o il 1919. Il 1989, infatti, non solo pone termine alla guerra fredda; segna anche il collasso finale del sistema che la Pace di Westfalia aveva instaurato nel 1648. In quel sistema, la pace riposava sull’equilibrio delle forze e sulla non interferenza tra stati”. Falso, come abbiamo visto: la pace di Westfalia riposava su un principio attivo, sulla promozione del bene comune tra le nazioni. Schioppa continua: “Era illusoria, mero stato di non-guerra, e nel XX secolo le sue precarie condizioni di sussistenza sono venute meno del tutto per l’avvento di una potenza continentale di forza esorbitante (la Germania), di una tecnologia che innalzava a dismisura il costo della guerra, di una società di massa che aveva trasformato la guerra in scontro non di eserciti ma di popoli”. Altre falsità. A parte il fatto che, anche se fossero vere le premesse di Schioppa, una pace che dura quasi trecento anni non è poi da buttare; non fu la forza in sé della Germania a scatenare le due guerre mondiali, né la tecnologia o lo scontro tra i popoli. Furono le oligarchie europee, la monarchia inglese in testa, e non solo la Germania, a scatenare la prima guerra mondiale e a gettare i semi per la seconda. Fu proprio la “costosa” tecnologia a permettere agli USA di rovesciare le sorti del conflitto e diventare l’”arsenale della democrazia”, e quanto alle guerre di popoli, fu proprio la Pace di Westfalia a impedirle per quasi tre secoli.
“Da ambedue le parti dovrà essere dimenticato e perdonato tutto per sempre”, recita il secondo paragrafo del Trattato del 1648 riferendosi agli orrori delle guerre. Ma per Padoa Schioppa, “riprodotta su scala globale, la logica westfaliana è molto più distruttiva che nel secolo e mezzo del dominio europeo”, ed “è ragionevole ritenere che il pericolo della guerra sia insito nella sovranità stessa”.
Trovato il nemico, la sovranità, occorre sconfiggerlo. Ma la formula è a portata di mano. “Secondo Cooper, la formula – generatrice di un nuovo ordine di pace che egli chiama post-moderno – è quella elaborata nel secondo dopoguerra proprio dall’Europa, che la sta applicando con successo in campi vitali come le relazioni economiche e la sicurezza”. Dunque, l’Unione Europea come stato sopranazionale? Padoa Schioppa respinge a parole l’idea di un Superstato europeo, ma poi nei fatti è proprio quello che va cercando. Infatti, premesso che il Patto di Stabilità è già “un’espressione straordinariamente forte di potere soprannazionale, una disposizione che non troviamo nemmeno in federazioni mature, in unioni politiche in piena regola”, Padoa Schioppa argomenta la necessità che si formi anche il governo politico dell’Europa, con l’introduzione del voto a maggioranza tra i membri dell’Unione. Egli si rammarica che la cosiddetta Costituzione Europea sia stata bocciata, ma non è un gran male dato che, dal quel punto di vista, non serviva a niente. Suggerisce che essa venga riscritta e “migliorata”, abolendo il diritto di veto dei governi e permettendo il passaggio effettivo dei poteri al Parlamento europeo e alla Commissione come governo espresso da esso. Per aggirare le maggioranze elettorali nazionali, si faccia il prossimo referendum su scala europea. Nel suo zelo apologetico, tracciando la storia del “sogno europeo” e dei cosiddetti Padri Fondatori dell’Europa, Schioppa si fa sfuggire che per taluni di essi “anche la Spada di Satana, come la definì Luigi Einaudi, poteva apparire un mezzo tollerabile per unire l’Europa e contribuì al favore con cui l’invasione tedesca fu accolta in molti Paesi europei. Raramente si parlò tanto di Europa unita quanto nella Germania di Hitler”. Un lapsus? Forse freudiano.
Guardiamo a quello che dice Cooper, con cui Padoa Schioppa è in disaccordo solo quando afferma che l’Europa avrebbe già raggiunto la forma efficace di stato soprannazionale. Nel testo citato da Schioppa, La fine delle nazioni, Cooper si spinge ben più in là nella critica agli stati nazionali, fino a sostenere la necessità degli imperi come forma ideale di sistema politico. In verità, Padoa Schioppa stesso fa un cenno al tema, quando scrive: “Che l’identità nazionale sia l’unico valido fondamento di un ordine politico è contraddetto dall’esperienza storica”. Ma Cooper è molto più esplicito. Sentiamo:
“L’impero è storia. Tutto ciò che sappiamo della storia, dall’impero Sumero a quello Babilonese, da quello Egiziano a quello Assiro, e poi la Persia, la Grecia, Roma, Bisanzio, le dinastie cinesi, l’impero carolingio, il Sacro Romano Impero, l’impero Mongolo e quello Asburgico, gli imperi spagnolo, portoghese, britannico, francese, olandese e tedesco, l’impero sovietico, più tanti altri che abbiamo dimenticato, tutto sta a suggerire che la storia del mondo è la storia dell’impero...”.E ancora: “Rispetto all’impero lo stato nazionale è un concetto nuovo. Il piccolo stato cominciò ad emergere nel Rinascimento e la nazione diventò un fattore politico importante solo nel XIX secolo. Da allora lo stato nazionale è stato per lo più confinato ad una ristretta parte del globo. Non è un caso che questa sia stata anche la parte più dinamica. La mancanza dell’impero però non ha precedenti storici. Resta da vedere se può durare. Vi sono ragioni sia teoriche sia pratiche per ritenere che non durerà” perché “un mondo di stati nazionali presenta un problema pratico “.Secondo Cooper, “sembrano esservi tutte le condizioni per un nuovo imperialismo. Vi sono paesi che hanno bisogno di una forza esterna per la stabilità (recentemente una manifestazione in Sierra Leone chiedeva che si facesse ritorno alla dominazione britannica) ... Un sistema in cui il forte protegge il debole, in cui chi è più efficiente e meglio governato esporti stabilità e libertà, in cui il mondo è aperto agli investimenti ed alla crescita rappresenta qualcosa di decisamente desiderabile”.
Ed ecco il clou: “La forma di espansione imperiale che consente il massimo allargamento è quella dell’Unione Europea”. Cooper raccomanda che l’EU si evolva in una nuova struttura chiamata “impero cooperativo” sul modello dell’antica Roma. Il 7 aprile 2002 Cooper ripeté gli stessi concetti in un articolo per il grande pubblico, sull’Observer, intitolato “Il nuovo imperialismo liberale”, in cui caldeggiò il ritorno a strutture imperiali e neocoloniali da XIX secolo. Un mese dopo, fu nominato all’alta carica in seno all’UE che attualmente ricopre. Ciò dimostra non solo una strategia imperiale britannica per il continente europeo, ma anche l’influenza di reti sinarchiste sovrannazionali, associate a gruppi come il Bilderberg, nella struttura della UE.

I quindici punti
Padoa Schioppa (come altri, ad esempio Amato), polemizza con Cooper su questioni secondarie, ma non ne sfidano gli assiomi di base. Anzi, sintetizzandone le idee, tace su quella che è l’dea centrale. Sarebbe come scrivere un riassunto di Pinocchio senza dire che è un burattino, o una critica di Joseph de Maistre senza parlare della sua esaltazione della figura del boia (lo ha fatto il monarchico neosenatore della Margherita Domenico Fisichella).
E invece l’idea del sistema imperiale è l’idea alla base del sistema di Maastricht e dell’Euro. Un nuovo sistema imperiale governato dai potentati finanziari. E allora, tutte le tessere si collocano al loro posto. Si capisce la BCE, si capiscono le pressioni esercitate dai “mercati”, si capisce perché Padoa Schioppa, a poche settimane dal voto, ha scritto assieme ad altri membri dell’Istituto Affari Internazionali (una filiazione del Royal Institute for International Affaire di Londra), un programma di quindici punti che “sarebbe auspicabile tenere fermi, qualunque schieramento vinca la sfida elettorale della primavera”. Il primo punto è il postulato da cui dipendono gli altri quattordici, come corollari in un sistema geometrico: “Consolidare la nostra partecipazione all’euro. Non si tratta solo di smetterla con le parole in libertà, di lamentare il nostro ingresso nell’euro o addirittura di ventilare un’uscita. Occorre soprattutto una più forte presa di coscienza delle scelte di fondo che l’economia e la politica economica debbono effettuare affinché l’Italia adatti il proprio modello di sviluppo alla competizione nel mercato unico e nell’economia globalizzata”. Il punto due quindi parla di “applicazione rigorosa del Patto”, il punto tre di “completamento del mercato unico europeo anche nei settori dei servizi e delle utilities” (do you remember Bolkestein?) e così via. Notevole il punto 9, “Sostenere e specializzare la difesa italiana”. Vi si chiede di “superare, a livello europeo, l’attuale distinzione tra impegni e spese ‘per la difesa’ e ‘per la sicurezza’ e ripensare gli strumenti militari europei in funzione di una maggiore integrazione civile/militare”. Significa che, come già fa l’America per la “guerra al terrorismo”, le forze armate saranno chiamate a svolgere funzioni di polizia. Una volta, la sinistra avrebbe gridato al golpe.
   

sabato 9 febbraio 2013

leccaculo

Una precaria del pd ha ricordato in un suo intervento come Chiara Ichino, la figlia del giuslavorista e voltagabbana Pietroagiografo della precarietà – abbia trovato subito dopo la laurea un bel lavoro stabile.
Subito, si son levati i leccaculo del settore, a protestare di come la Chiara, sia in realtà brava, anzi, bravissima.
Lo ripetiamo: sono degli ignobili leccaculo o, forse, degli imbecilli, perché fingono di non capire, o non capiscono che:
  • brave come la Chiara ce ne sono a migliaia;
  • nessun figlio dei teorici del precariato ha un lavoro precario.
Le due questioni vanno viste insieme, magari per concludere che, come diceva don Milani, certi cromosomi sono potenti.
Per quanto ci riguarda, l'ereditarietà dei meriti ci permette di guardare più serenamente all'eccidio di Ekaterinburg.

mercoledì 6 febbraio 2013

domenica 3 febbraio 2013

scacco al re




























Con la mossa della restituzione dell'IMU, Silvio Berlusconi ha messo una pesante ipoteca sui risultati elettorali.
Per molti, la prospettiva della restituzione di quelle non trascurabili somme - in certi casi raccimolate a fatica - avrà, nel segreto dell'urna, la seduzione del canto di una sirena.
Al solito, il PD e il suo entourage di intellettuali benestanti, reagirà con le abituali rampogne in chiave di trombone:
l'irresponsabilità, i mercati, il debito, lo spread e il celochiedeleuropa.
Il piagnisteo, sul destino cinico e baro, lo lasciamo tutto a Bersani e ai suoi (a seconda dei casi) troppo furbi o troppo ingenui elettori.
Non sappiamo se gioverà, a tale parte politica, insistere ancora, in questa campagna elettorale, sul tasto del rispetto di supposte istituzioni (banche, banca d'italia, banca europea, …) che sono in realtà enti economici privati che divorano fior di quattrini.
Se davvero di responsabilità si vuol parlare, si dovrebbe puntare il dito proprio sulla (dichiarata) irresponsabilità politica del governo Monti che non ha esitato a varare una tassa esosa, iniqua e odiosa.
Chi la responsabilità politica ce l'aveva (PD compreso) avrebbe avuto il dovere di impedire un provvedimento che, in paesi con tradizioni civili più radicate, sarebbe finito con i morti in piazza.
Qui, invece, si andrà solo all'incasso elettorale, e bisogna ringraziare il cielo.
Ma se ci si dovesse interrogare sulle responsabilità culturali che hanno portato alla disastrosa sortita tributaria dell'ottuso ragioniere della Bocconi, bisognerebbe spiegare come la casa d'abitazione, da diritto rivendicato degli anni '70 diviene, oggi, privilegio tassabile.
La parola chiave è equo canone, a tale provvedimento approdarono le lotte per il diritto alla casa degli anni '70, con la sua eliminazione - voluta dal governo Amato – si varò la successiva smania proprietaria, con contorno di mutui più o meno facili.
Su Amato e il suo tempestivo import di dogmi e illusioni reaganiane, sarebbe ora di interrogarsi.
Sempre a lui va fatta risalire l'abolizione di quella legge bancaria, di cui oggi si sente tanto il bisogno.
Ma il PD se ne guarda bene, Amato, più di Gramsci e di Berlinguer, è un padre nobile del partito, dove si fa a gara per accoglierne ed aggiornarne la visione fin troppo lib e troppo poco lab.
Intanto gli Italiani, da vent'anni, cercano di dire no a questa linea politica della sinistra, e lo fanno nell'unico modo possibile, votando a destra.

sabato 2 febbraio 2013

2 febbraio 1943

Canto d'amore a Stalingrado 

 

Nella notte il contadino dorme, ma la mano
sveglia, affonda nelle tenebre e chiede all’aurora:
alba, sole del mattino, luce del giorno che viene,
dimmi se ancora le mani più pure degli uomini
difendono la rocca dell’onore, dimmi aurora,
se l’acciaio sulla tua fronte rompe la sua forza,
se l’uomo rimane al suo posto, e il tuono al suo posto,
dimmi, chiede il contadino, se la terra non ode
come cade il sangue degli eroi
arrossati, nell’immensa notte terrestre,
dimmi se ancora sopra l’albero sta il cielo,
dimmi se ancora risuonano spari a Stalingrado.

E il marinaio in mezzo al mare tremendo
scruta le umide costellazioni,
e una ne cerca, la rossa stella della città ardente,
e scopre nel suo cuore quella stella che brucia,
e quella stella d’orgoglio le sue mani vogliono toccare,
quella stella di pianto creata dai suoi occhi.
Città, stella rossa, dicono il mare e l’uomo,
città, chiudi i tuoi raggi, chiudi le tue porte dure,
chiudi, città, il tuo famoso lauro insanguinato,
e che la notte tremi con lo splendere cupo
dei tuoi occhi dietro un pianeta di spade.

E lo spagnolo ricorda Madrid e dice: sorella,
resisti, capitale della gloria, resisti:
dal suolo si alza tutto il sangue sparso
dalla Spagna, e per la Spagna si solleva nuovamente,
e lo spagnolo chiede, già contro il muro
delle fucilazioni, se Stalingrado vive;
e c’è nel carcere una catena d’occhi neri
che bucano le pareti col tuo nome,
e la Spagna si scuote col tuo sangue e i tuoi morti,
perchè le offristi l’anima tua, Stalingrado,
quando partoriva la Spagna eroi come i tuoi.

Conosce la solitudine, la Spagna:
come oggi conosci la tua, Stalingrado.
La Spagna strappò la terra con le unghie
quando Parigi era bella più che mai.
La Spagna dissanguava il suo immenso albero di sangue
quando Londra, come Pedro Garfias ci racconta,
pettinava le sue aiuole, i suoi laghi di cigni.

Oggi di più conosci questo, forte vergine,
oggi, Russia, di più conosci la solitudine e il freddo.
Mentre migliaia di obici squarciano il tuo cuore,
mentre gli scorpioni con crimine e veleno,
accorrono, Stalingrado, a mordere le tue viscere,
New York balla, Londra medita, e io dico “merde",
perchè il mio cuore non resiste più
e i nostri cuori
non resistono più, non resistono
in un mondo che lascia morire soli i suoi eroi.
Li lasciate soli? Ora verranno per voi.
Li lasciate soli?

Volete che la vita
precipiti alla tomba, e il sorriso degli uomini
sia cancellato dalla latrina e dal calvario?
Perchè non rispondete?

Volete più morti sul fronte dell’Est
finchè riempiano tutto il vostro cielo?
Ma allora non vi resta che l’inferno.
Già si stanca di piccole prodezze
il mondo, dove al Madagascar i generali,
con eroismo, uccidono cinquantacinque scimmie.

Il mondo è stanco di congressi autunnali,
ancora con un ombrello a presidente.
Città, Stalingrado, non possiamo
giungere alle tue mura, siamo lontani.
Siamo i messicani, siamo gli araucani,
siamo i patagoni, siamo i guaranì,
siamo gli uruguaiani, siamo i cileni,
siamo milioni d’uomini.
E abbiamo altra gente, per fortuna, nella famiglia,
ma non siamo ancora venuti a difenderti, madre.
Città, città di fuoco, resisti finchè un giorno
arriveremo, indiani naufraghi, a toccare le tue muraglie
con un bacio di figli che speravano di tornare.

Stalingrado, non c’è un Secondo Fronte,
però non cadrai anche se il ferro e il fuoco
ti mordono giorno e notte.

Anche se muori non morirai!
Perchè gli uomini ora non hanno morte
e continuano a lottare anche quando sono caduti,
finchè la vittoria non sarà nelle tue mani,
anche se sono stanche, forate e morte,
altre mani rosse, quando le vostre cadono,
semineranno per il mondo le ossa dei tuoi eroi,
perchè il tuo seme colmi tutta la terra.

Pablo Neruda

venerdì 1 febbraio 2013

perché Vendola mi ha stufato

Sono stufo del suo tono da predicatore. I predicatori sono una brutta razza, hanno la verità rivelata e guardano dall'alto in basso, elargendo pelosa carità, i poveracci che si fanno dominare dalla fame, dalla sete e dal freddo e che pretendono, magari, di rovesciare l'ordine economico, quando, a quanto pare,  è sufficiente scalzare quello simbolico.
Oggi, 1 febbraio, sulle colonne de il manifesto, Nichi si toglie l'elmo.  
Sempre meglio di Berlusconi, che appena può cerca subito di levarsi le mutande, diranno subito i garruli tifosi della sinistra-qualsiasi-cosa-essa-sia, eternamente mobilitati nel derby contro l'Anticristo,
Invece, è un atto simbolico, ma un atto simbolico esclusivamente casalingo, perché sullo scenario internazionale, Vendola sa benissimo, che il suo eventuale governo con Bersani sarà in continuità con le politiche che hanno accumunato centrodestra e centrosinistra, cioè guerre ribattezzate, con poco senso del ridicolo, come missioni di polizia o (addirittura) di pace.
Il prossimo governo, dunque, continuerà a fare la pace bombardando e con l'elmetto convenientemente calzato. A tal riguardo, Nichi dovrà accontentarsi - per gli accordi sottoscritti - del diritto di mugugno.
Ma il punto non è questo, non mi importa quello che Vendola non potrà fare, mi importa quello che può (e sa) fare.
La sua prosa è programmatica.
Egli si rivolge alle donne e agli uomini, dunque non alla gente (astrattamente tutta uguale), come fa la destra, né ai lavoratori (sinteticamente asessuati) della sinistra d'antan.
La formula è corretta e sarebbe apprezzabile, se non fosse diventata doverosa.
Non c'è discorso di politico di sinistra che non l'ostenti come un distintivo. 
Questo rituale si fonda su una verità che ha le caratteristiche dell'evidenza e ogni epoca ne ha avute, ammonendo con un imperioso giù il cappello! i riottosi.
Or bene, questa deriva retorica della formula, me l'ha fatta venire in uggia. Ma che abbia rotto le balle a me, che sono notoriamente un malmostoso e bastiancontrario, amen; il fatto è che anche chi è alla disperata ricerca di un lavoro, chi si è visto tagliare i fili della luce, chi è sotto sfratto, mastica amaro nell'ascoltare queste parole d'ordine che sembrano mettere in second'ordine, come problemi più sociologici che politici, il loro scontro diretto con il capitale, privilegiando, come fulcro della lotta, la ricomposizione idealistica dell'armonia del creato.
C'è da scommettere che anche molte donne rinuncerebbero volentieri a questa affermazione simbolica d'attenzione, preferendo più concrete risposte a situazioni che offrono davvero poco margine alla speculazione semantica.
Se poi volessimo infierire, si potrebbe dire che nella canonicità della formula (mai dire, per carità, gli uomini e la donne) risuona, goffo, quel prima le signore, che ci riporta dritti dritti al maschilismo paternalista dell'Ottocento.
Le intenzioni, certamente, sono diverse, ma chi gioca con i simboli dovrebbe sapere che non se ne rovescia il significato lasciandoli immutati. 
Chi simpatizza per Vendola non mancherà di pensare che sto facendogli le pulci sulle forme, trascurando la sostanza delle sue proposte. Ma qui sta il punto, le proposte di Vendole si riducono a fittizzie sovversioni dell'ordine simbolico del linguaggio, non esenti da un pizzico di malafede.
Ritornando al suo articolo, ad esempio, leggiamo che in politica egli rifiuta il concetto di nemico, preferendo la più morbida nozione di avversario. A parte il fatto che, non trattandosi di una partita di tennis, può ben darsi il caso, e spesso si dà, in politica, dello scontro di interessi contrapposti e non integrabili, da cui dipende la sopravvivenza dell'una o dell'altra parte, Vendola sa benissimo che, quando chiama al voto utile, fa per l'appunto ricorso alla nozione di nemico da battere a tutti i costi.
La verità, Vendola ce la dice tra le righe, quando, nelle conclusioni dell'articolo, rivela che il suo punto di riferimento internazionale è Hollande.
E' una scelta di campo: con i socialisti francesi contro il front de gauche, con il PASOK contro Syriza. 
Nichi sceglie questa poco entusiasmante compagnia di socialdemocratici ben integrati con la finanza internazionale, perché quello che gli lascerà fare Bersani (con la complicità del massone cattolico Monti, per ridurre alla ragione Franceschini & Co.) è proprio quello che prova a fare Hollande: matrimonio per tutti e cittadinanza per i figli degli immigrati. 
Su tutto il resto: fiscal compact, pensioni, lavoro, grandi opere e missioni militari, parlerà contro, ma voterà a favore.
Cercherà, dunque, di compensare sul piano simbolico dei diritti civili la disfatta concreta sul piano dei diritti sociali.
E' il trucco usato da Zapatero prima di sparire dalla scena politica.
Ma non è soltanto una tattica sbagliata, è anche una strategia fallimentare, perché si rinuncia ad unire in nome dei bisogni, per dividere in funzione delle idee.