In quanto uomo, m'impegno ad affrontare il rischio dell'annientamento perché due o tre verità gettino sul mondo
la loro luce essenziale (Frantz Fanon)

sabato 23 giugno 2012

aprire gli archivi

il peggiore
ci fu chi lo preparò, incoraggiato dal tintinnar di sciabole dei suoi generali, 
ci fu chi ne accarezzò l'idea, spronato dal fragor di bombe approntato dai suoi stessi servizi segreti.
lui lo ha fatto, e gli è bastata la lettera di una banca.
viene da chiedersi come mai fosse iscritto al partito comunista.
in ogni caso, licenziamolo al più presto.


vedi anche la mediocre

mercoledì 20 giugno 2012

vivere in tempi interessanti

Idu dani, I giorni passano,  (Nedeljko Dragić, 1969)


martedì 19 giugno 2012

siamo in grecia e non lo sappiamo

in Grecia le pensioni medie si aggirano sui 350 € mensili, in Italia no.
questo sulla carta, ma il combinato disposto tra abrogazione dell'articolo 18 (estesa al pubblico impiego) e età di pensionamento sortirà il medesimo effetto anche da noi.
l'intenzione è evidente nel piano di spending review dei nostri soloni.
trecentomila dipendenti statali rischiano di essere eliminati perché hanno più di 60 anni.
per due anni riceveranno l'80% dello stipendio di base (con cui, forse, riusciranno a pagare l'affitto di casa, regolarmente indicizzato istat) e poi riceveranno un calcio in culo.
per molti di loro l'età della pensione è fissata oltre i 65 anni e dunque resterà l'oro l'alternativa di cercarsi un altro lavoro (chi assume un sessantenne?) o anticipare la pensione, con importo decurtato per gli anni mancanti.
ecco arrivate le pensioni greche
questa logica aberrante del potere: sei troppo giovane per andare in pensione a 60 anni, ma sei troppo vecchio per lavorare a 60 anni, è carica di violenza e di beffarda messa in mora del contratto sociale.
ciò ci autorizza a tutto. 

sabato 16 giugno 2012

la società civile ci sa fare

Con voto quasi unanime (un contrario, astenuto il dirigente scolastico) il consiglio di circolo di Borgomanero (NO) ha decretato l'espulsione dei figli degli immigrati dalla scuola pubblica.
Naturalmente questi signori negano risolutamente, e in buona fede, di essere dei miserabili razzisti e fascisti.
Invece sono proprio dei miserabili razzisti, con l'aggravante di essere troppo ignoranti per accorgersene.
La loro decisione si basa, infatti, sulla convinzione di avere la precedenza per diritto di nascita, una convinzione tipica del razzismo.
La loro mentalità è perfettamente rappresentata da questa vignetta, ignobile, della Lega Nord, in cui si vede un pensionato bianco, in coda dietro a stranieri delle più diverse etnie.
Gli stranieri lo precedono nella fila perché probabilmente sono arrivati prima di lui. E qui sta il punto.
Se anche sono arrivati prima, i nostri padri e i nostri nonni sono arrivati ancor prima di loro, quindi loro sono in eterno gli ultimi arrivati e in eterno devono cederci il posto.
Questo è l'esatto significato dello slogan: padroni a casa nostra, che corrisponde esattamente al terra e sangue dei nazisti.
Del resto l'ispirazione nazista dei leghisti è, in questo caso evidente.
Questa vignetta antisemita tedesca ha lo stesso identico significato di quella della lega.
Come è andata a finire, lo sappiamo.

Chi si candida volontariamente ad essere eletto in pubblici organismi non può farsi scudo né della propria ignoranza, né della propria idiozia. Certe decisioni sono un delitto.
E i delitti si pagano.


giovedì 14 giugno 2012

ψηφίσουν ΚΚΕ

Syriza e SEL 

il vicolo cieco della socialdemocrazia radicale

Alle prossime elezioni, in Italia e in Grecia, non bisogna fare l'errore di votare per Sel e Syriza, gli eredi della socialdemocrazia radicale della Seconda Internazionale.
Emuli di Bernstein, Vendola e Tsipras concepiscono lo scontro di classe come movimentismo fine a sé stesso, a fronte del quale si conseguono nessuno, o modestissimi, risultati politici.
Subalterni all'esistente, affidano il superamento del capitalismo ai tempi lunghi di una meccanicistica evoluzione di modello positivista e pretendono di consolare le masse proponendo obbiettivi simbolici, consoni ai desideri della parte più avanzata, ma non meno avida e parassitaria, della borghesia.
Sono il partito degli intellettuali piccolo-borghesi che anelano a salvarsi, in un colpo solo, l'anima e la casa al mare. 
Sono il partito di un ceto politico di sinistra che aspira a vivere (bene) di parlamentarismo in eterna attesa dell'ora x.
Cavallo di ricambio del capitalismo, nella buona stagione, sono destinati, in quella brutta,  a spalancare le porte - per velleitarismo e impotenza - al fascismo.
vota comunista - ψηφίσουν ΚΚΕ

venerdì 1 giugno 2012

la scomparsa della classe operaia. Una questione d'immagine

Nell'ultimo numero di Alternative per il socialismo Fausto Bertinotti osserva, a proposito dello sciopero del 9 marzo dei metalmeccanici, che nella manifestazione c'erano solo operai e operai soli.
Ed infatti tali ci appaiono oggi, quando e se ci appaiono, perché in realtà sembrano scomparsi.
Già all'XI congresso della CGIL (1986), a fronte dei grandi cambiamenti tecnologici in atto, Luciano Lama prevedeva una progressiva riduzione della componente operaia del lavoro.
In realtà, se nel 1961 l'industria occupava 7.886.000 addetti, nel 2001 ne conservava ancora 7.030.000. Tenendo conto della distruzione, avvenuta nel frattempo, di una poderosa industria chimica, non sembra esserci stata, nella misura prevista, la terziarizzazione vaticinata.
Se dunque è vero che le dimensioni delle industrie sono cambiate, è altrettanto vero che in Italia il numero degli operai resta notevole.
Ma la propaganda è più forte della realtà e oggi, soprattutto a sinistra, è moneta corrente l'affermazione per cui non esisterebbe più la classe operaia. 
Il giovane, deciso e combattivo Gasparazzo sembra dunque avere lasciato il posto all'anziano, sconfitto e rassegnato Cipputi, immagine di un ormai residuale statuto ontologico operaio.

Del resto l'operaio non è neppure l'immagine di riferimento, agli albori del novecento, del nascente movimento socialista italiano.
Infatti il simbolo del primo proletariato italiano è quello immortalato da Pellizza da Volpedo, un quarto stato composto evidentemente da braccianti agricoli.
Questa iconografia, che è aderente alla realtà nazionale si manterrà a lungo.
Ancora nel 1928, il proletario cui spetta il compito storico di decapitare il fascismo, è, sulla tessera del PSI, un contadino.
C'è dunque la falce, ma per il martello ci si dovrà riferire più al simbolico mito di Prometeo che agli operai in carne e ossa.

La parabola del quarto stato si chiuderà proprio all'indomani dell'XI congresso della CGIL.
Nell'aggiornamento dell'opera di Pellizza possiamo ancora scorgere un paio di tute blu, ormai minoritarie in un universo del lavoro dove predominano le fasce impiegatizie e si intravedono di già le partite IVA.
Dura dunque all'incirca poco più mezzo secolo il protagonismo della classe operaia nell'iconografia italiana di matrice politica.

Tornato alle tesi socialisteggianti delle origini, il fascismo della RSI cerca, almeno nelle intenzioni dei suoi esponenti di sinistra, un dialogo privilegiato con gli operai.
Dopo il tradimento della monarchia si guarda con sospetto alla borghesia, che pure aveva entusiasticamente sostenuto il fascismo, e si confida maggiormente nell'elemento popolare. 
Con la parola d'ordine: sangue contro oro, riprende vigore la teoria della guerra rivoluzionaria delle nazioni proletarie contro le plutocrazie imperialiste.
Il nuovo ordine mondiale che si vuole stabilire è una serena prospettiva di lavoro che sembra modellata sulle aspettative operaie.

















I nemici da battere sono il capitalismo e il giudaismo, inteso come quintessenza della finanza. La polemica con il bolscevismo pare improvvisamente sopita. 
Ma accanto alla propaganda fascista di nostalgia sansepolcrista, compaiono sui muri delle città del nord i manifesti del PK (Propaganda Kompanien) tedesco. Anche quelli si rivolgono agli operai, e li rappresentano.
Ma la stragrande maggioranza degli operai non abboccherà né all'uno, né all'altro amo, nelle fabbriche, nelle città e in montagna comincia la Resistenza, di cui saranno la spina dorsale.

















Nel dopoguerra tocca ancora a loro. La loro forza è necessaria per la conquista della repubblica e di una costituzione socialmente avanzata.
L'Italia è ancora un paese a forte vocazione agricola e il proletariato rurale prevale su quello urbano. 
Dietro Garibaldi c'è falce e martello? - si chiede il giornale murale del Fronte Popolare - certo! il martello degli operai e la falce dei contadini!

Nell'aspro scontro del '48, anche la DC corteggia il voto operaio, nello stile repubblichino di Boccasile.
Questa volta il pericolo bolscevico ricompare e a scamparla sono gli ebrei, mentre il capitalismo, almeno a parole, sembra non piacere a nessuno.
Non piace, ma c'è, e la polizia di De Gasperi e Scelba gli fa da cane da guardia.
Alle Fonderie Reggiane di Modena, lo sciopero finisce in un massacro. I volti degli operai che compaiono sui manifesti sono, di nuovo, immagini di caduti. 




Negli anni '50 cresce rapidamente l'industria che presto prevarrà sull'agricoltura, il compito di spezzare le catene dell'oppressione è ora affidato all'operaio.
Ma la repressione è forte, dopo la vittoria democristiana del 18 aprile il padronato, spesso compromesso con il fascismo, ha rialzato la cresta, spalleggiato da un apparato di polizia e magistratura in sostanziale continuità col ventennio.
Dopo l'attentato a Togliatti e la rottura dell'unità sindacale, nelle fabbriche si moltiplicano i licenziamenti politici.


Ma la classe tiene, nel 1953 la legge truffa è respinta e gli equilibri politici cambiano. In occasione del decennale della Resistenza, la tessera del PCI ne rivendica con orgoglio il carattere operaio.
Dopo i duri anni della guerra di liberazione e i dieci anni di lotte incessanti della Ricostruzione, le masse eternamente in marcia hanno diritto a un po' di pace e di benessere.
Sul manifesto dell'ARCI-UISP del 1956 l'operaio prefigura l'uomo nuovo a cui si vuol tendere.
È domenica mattina, dismessa la tuta da lavoro, e cessati per sempre i laceri panni dell'ico-nografia proletaria del primo novecento, il lavoratore legge la Costituzione nella biblioteca del suo circolo. All'esterno l'attende un moderno impianto sportivo, mentre la fabbrica, relegata sullo sfondo, è dimenticata fino al lunedì.
La realtà è un po' diversa, il circolo, più che biblioteca è enoteca - e magari di scarso livello - mentre lo sport, con l'arrivo dei transistor è ridotto alla passiva fruizione delle radiocronache delle partite di calcio, o delle tappe del Giro d'Italia. Ma è tracciata una strada di crescita non solo materiale dei livelli di vita.


Alla vigilia del boom, la classe e le sue organizzazioni politiche si pongono con urgenza il problema dell'istruzione, e non solo professionale. Nei primi anni '60 ci sarà la riforma della scuola media che rientrerà nella scuola dell'obbligo.


Riprendendo il tema proposto nel decennale della Resistenza, la tessera del PCI del 1958 ribadisce la centralità dirigente della classe operaia. Dalla fabbrica alla società recita uno slogan coevo.
È, tradotta in immagini, l'egemonia gramsciana.
In questa prospettiva la classe deve porsi l'obiettivo ambizioso di penetrare nell'apparato di riproduzione principale della borghesia: la scuola.

Gli operai delle Officine Galileo, che hanno saputo parlare al sindaco La Pira e mobilitare al proprio fianco tutta Firenze, sembrano i testimonial adatti per rivolgersi agli studenti.
Per il momento nelle università e negli istituti secondari, che sembrano impenetrabili alcazar della destra, la presenza della sinistra è affidata a isolate avanguardie. Ma tutto cambierà nei dieci anni successivi.
La 600 sta per arrivare, ma per il momento, nelle brumose albe delle città del nord un esercito di ciclisti percorre le strade in direzione delle fabbriche. Per questa gente, la bici è ancora il bene prezioso del film di De Sica.
Ma la distribuzione della ricchezza è diseguale, c'è un'altra Italia che fa meno fatica.
Stavolta ce la racconta Fellini. 

Comincia dunque anche una questione morale, e ancora una volta l'operaio deve rivestire i panni di Prometeo affinché il discreto benessere conquistato non gli faccia dimenticare che il suo sforzo titanico è tutt'altro che concluso.
Bisogna liberare il mondo, bisogna cambiarlo.
Nelle periferie coloniali le masse asservite si scuotono dal giogo del dominio e lottano per l'indipendenza.

Nel 1962 l'Algeria è diventata indipendente, il papa buono ha scomunicato Fidel Castro, Eichmann è stato giustiziato, si è suicidata Marilin Monroe; è uscito il primo disco dei Beatles.
Il mondo sta rapidamente cambiando e le imprese spaziali sovietiche sembrano decretarne la superiorità tecnologica rispetto all'occidente.



I pennacchi delle ciminiere sullo sfondo identificano le masse che celebrano l'anniversario di quello che è, forse già solo simbolicamente, lo stato operaio.
Sono, invece, i giovani operai della Fiat l'emblema della FGCI. Locomotiva del boom e stella polare di un epocale movimento migratorio, la Fiat ha portato all'estremo il meccanismo taylorista dello sfruttamento della forza lavoro, alternando alla funzione 
poliziesca dei capi reparto, un sistema di relazioni privilegiate con sindacati di comodo. Qualcuno dei ragazzi ritratti nella fotografia ha forse partecipato, nel luglio precedente, all'attacco della sede dell'UIL in piazza Statuto.
Intanto, le ondate migratorie interne danno nuovo impulso all'edilizia.





La ricostruzione del dopoguerra, i piani di edilizia popolare e le opere pubbliche fanno da volano all'intera economia e hanno trasformato rapidamente in operai i braccianti veneti e meridionali.
A questa nuova componente di classe è dedicata anche la tessera del PCI di un anno cruciale. Ciminiere e gru fanno da sfondo alle speranze di una giovane coppia proletaria.
Con l'autunno caldo i muri delle città si tappezzano dei simboli di una soggettività operaia antagonista e protagonista.
Il martello dell'iconografia originaria lascia piano piano il posto alla chiave fissa, opportuno e realistico avatar di una ricercata aggressività comunicativa.
Il mondo appare ad una svolta che si presenta come un parto difficile, la levatrice va sollecitata.
Ai comportamenti ottusamente arretrati del padronato nostrano non viene concesso credito. Gli operai hanno perso la pazienza.
La classe operaia conquista un'attenzione privilegiata che manterrà per tutti gli anni '70.
Composta e riflessiva forza di cambiamento, o dinamico e spontaneo vettore di ribellione, la classe sembra l'ineludibile fattore sociale con cui bisogna fare i conti.

Alla fine del decennio e superati gli anni di piombo, la classe sembra poter ancora puntare in alto.












Nella strategia di Berlinguer non è solo al centro dell'attenzione, ma anche il centro politico che dovrebbe garantire - per rubare lo slogan alla DC - un progresso senza avventure.

Ma non è dello stesso avviso la Fiat, che nel 1979, con un'azione simbolica che tende all'effetto mediatico, procede a 61 licenziamenti politici per preparare il terreno al piano di ristrutturazione dell'anno successivo, con cui mette in cassa integrazione 24.000 operai, prevedendo di licenziarne definitivamente la metà.
La reazione operaia è decisa, la lotta si protrae per 35 giorni.
Ma il fronte padronale è forte, può contare sui sindacati collaborazionisti, una stampa corriva, e anche, sotto sotto, con quegli esponenti del PCI che si troveranno, anni dopo, in consonanza con Machionne.
A concludere la vicenda, un formidabile coup de théâtre, la marcia, sapientemente organizzata di 20.000 capi e capetti, prontamente raddoppiati dalle cronache giornalistiche.
È  una cruda sconfitta che mette a dura prova la stessa unità della CGIL e  che pone sotto accusa l'egualitarismo scaturito dalle lotte dell'autunno caldo, a cui viene imputata la responsabilità della mancata rappresentatività del sindacato rispetto ai ceti impiegatizi.
Già alle elezioni politiche del 1979, il PCI, che perde consensi e fallisce l'agognato sorpasso, si è accorto di un logoramento della funzione egemone della classe operaia.
L'iconografia di partito, che ha affiancato all'operaio, in una piramide sociale di cui sta al vertice, altri ceti, registra un movimento verso la dissoluzione della specificità operaia nell'insieme opaco del lavoro genericamente inteso.

Ma la fase rivela appieno la valenza strategica del controllo dei mezzi di informazione. Un complesso apparato ideologico, costituito da formulazioni neoliberiste, suggestioni individualiste e ammiccamenti postmoderni, è in arrivo: l'edonismo reaganiano.
Nel nostro paese troverà un interprete pronto a declinarlo in una versione - almeno formalmente - di sinistra, Bettino Craxi.
Mentre banche, padroni, boiardi di stato e ceto politico divorano in tangenti la ricchezza nazionale, una campagna di stampa pervasiva e orchestrata a puntino addita, nel costo del lavoro, l'origine ditutti i mali del paese. 
Con il decreto di San Valentino viene rottamata la scala mobile.
La classe operaia torna sui manifesti, ma è ormai isolata e in difesa.
A fianco degli operai restano solo i comunisti del PCI e di Democrazia Proletaria, mentre un fronte unico comprende, insieme ai padroni e a tutti gli altri partiti, la CISL, la UIL e la componente socialista della CGIL.
Verso la fine degli anni '80, la propaganda del PCI ci fornisce, contro le proprie intenzioni, un'immagine visuale del ridimensionamento del peso della classe operaia.
Con gli anni '90 e il varo della seconda repubblica, gli operai scompaiono, inghiottiti dalle nebbie del nord-est, nelle fabbrichette dove il piccolo è bello.
Per i nuovi partiti postideologici, non esistono più le classi, ma bisogna rivolgersi alla società civile, lo pseudonimo più presentabile della vecchia borghesia.
Come nel gioco dell'oca, un gruppetto di orfani socialisti riparte dal via.
per le immagini dei manifesti:  OPAC Sebina Open Library