Caro
Pollione,
qualche
giorno fa, hai dichiarato in un post il tuo orgoglio per aver
studiato nella scuola media dedicata a Monsignor Leone Ossola, il
vescovo cittadino passato alla storia come defensor civitatis per
la sua trattativa del 26 aprile 1945 che indusse tedeschi e fascisti,
ormai sconfitti, alla resa senza ulteriori resistenze che avrebbero
senz'altro provocato altro spergimento di sangue.
Ti
invitavo, tra il srerio e il faceto, a non abbandonarti a facili
entusiasmi senza un minimo d'approfondimento e di rifarti un po' a
quella cultura del sospetto tanto
di moda negli anni 70.
Un
libro di Laura Ceci (Il Papa non deve parlare. Chiesa,
fascismo e guerra d'Etiopia) mi
aveva fatto rizzar le antenne.
Le
leggi razziali del 38, sono in parte anticipate, nelle colonie per
l'azione di Alessandro Lessona, ministro competente, che fa approvare
una legge che punisce severamente ogni tipo di concubinato
di un cittadino italiano con «una persona suddita dell'Africa
orientale»
Ai primi di agosto del 1937 il
ministro Lessona chiede al nunzio vaticano in Italia, Francesco
Borgongini Duca, un appoggio diretto della Santa Sede alla
legislazione razziale, per scongiurare il rischio concreto di una
proliferazione dei meticci. Infatti, «disgraziatamente», i figli
nati dall'amplesso di uomini bianchi con donne nere «portano sommati
i difetti e non i pregi delle due razze».
La richiesta arriva a Pio XI, che incarica di un parere il cardinale
Domenico Jorio, prefetto della Congregazione dei sacramenti, il
quale, il 24 agosto successivo, gli risponde: che la Chiesa avrebbe
effettivamente potuto, anzi avrebbe dovuto collaborare — «nei
giusti limiti» del diritto canonico — alla campagna per la «sanità
della razza». Le «ibride unioni» andavano impedite «per i
saggi motivi igienico-sociali intesi dallo Stato»: «la sconvenienza
di un coniugio fra un bianco e un negro», e «le accresciute
deficienze morali nel carattere della prole nascitura». Tutte le
citazioni riportate le trovi anche in un articolo del 5 novembre 2008
di Sergio Luzzatto per il Corriere
della Sera,
che trovi anche in rete.
Or
bene, papa Ratti approva la relazione di Jorio, che viene trasmessa
alla nunziatura apostolica il 31 agosto. Il 22 settembre Leone Ossola
viene consacrato vescovo e nominato vicario apostolico di Harar,
in Etiopia.
Le
coincidenze spazio temporali mi avevano allertato e te le ho
segnalate, ma tu, saggiamente (hoc post hoc non è hoc propter hoc)
mi hai risposto che di per sé significavano poco. Ne convenivo con
te, queste congetture sono motivo di ricerca e non la ricerca stessa.
Pensavo,
avendoti messa la pulce nell'orecchio, che la facessi tu, comunque io
qualcosa ho trovato.
Sempre
sul web puoi trovare la tesi di dottorato di Antonio Cataldi, I
missionari cattolici italiani nell’Etiopia occupata (1936-1943),
molto ben documentata.
Qui
apprendiamo (pag. 203) che
Ossola aveva iniziato il suo apostolato nel clima di segregazione
razziale avviato dalla legge Lessona del 1937, e per evitare
inconvenienti con le autorità civili pensò di costituire delle
parrocchie separate: quelle per i connazionali, rette da sacerdoti
italiani e quelle per gli indigeni rette da sacerdoti indigeni. Qui,
a ben vedere, il buon vescovo affronta la questione del concubinaggio
con un po' d'eccesso di zelo. Il dubbio deve averlo sfidato, giacché
chiede il lumi al cardinale della Propaganda Fide che, sia pur con
diplomazia, non esita a correggerlo, consigliando che
sarebbe stata buona cosa
“dove
fosse possibile, la convivenza in una parrocchia di un missionario e
di un sacerdote indigeno. Una divisione netta non appare infatti
troppo conforme all’affratellamento dei popoli nella carità di
Cristo, secondo lo spirito della Chiesa”.
Ossola
sembra, in questa occasione, più
realista del re, ma
nache nei rapporti col clero indigeno, sembra manifestare un concetto
di carità molto allineato con le idee correnti di allora, “…Questi
benedetti neri non ne vogliono sapere di lavorare: sembra che per
essi non esista il verdetto divino in sudore vultus tui verceris pane
tuo”
(pag. 205).
Vi
è però da dire che cercò di appianare le divergenze tra clero
locale e missionari, fissando per entrambi un'identica retribuzione
per la celebrazione della messa.
Tutta
la questione viene comunque affrontata nella I Conferenza dei vescovi
cattolici dell'AOI, a cui è presente Ossola, presieduta
dall’arcivescovo Giovanni Maria Emidio Castellani, delegato
apostolico per l’Africa Orientale Italiana, e arcivescovo di Addis
Abeba (17-21 dicembre 1937). Qui, da parte di Venanzio Filippini
vicario apostolico di Mogadiscio venne poi sollevata la questione
della mescolanza tra bianchi e neri nelle chiese, fino a che punto
fosse lecita o se occorreva disciplinarla in qualche modo. La
risposta dei vescovi fu collegiale, i quali deliberarono che agli
indigeni dovevano essere riservate delle celebrazioni religiose
separate, da svolgersi in prima mattinata. Per i bianchi invece -che
poi erano al novantanove per cento gli italiani -, andavano riservate
delle liturgie in orari più comodi e “meno
mattinieri Dai
verbali della riunione del 19 dicembre, in cui fu affrontata la
questione, non risultano obiezioni manifestate da chicchessia. In
quelli del giorno successivo, in cui il vescovo indigeno Mariam
Cassa contestò aspramente la decisione, non risultano repliche.
Il
giudizio storico di parte cattolica, per il quale gli uomini di
chiesa non avrebbero percepito la portata razzista del decreto
Lissona, considerandola solo come utile mezzo per la moralizzazione
della vita coloniale, sembra smentito proprio dalla decisione dei
vescovi, non
si comprende bene quale ordine sociale e quale moralità pubblica
potevano essere minacciati mai dallo svolgimento di celebrazioni
religiose cattoliche in cui partecipavano insieme bianchi e neri.
(pp.
303-309).
I
vescovi dell'Africa Orientale Italiana (Ossola compreso) sono dunque
propensi a un'interpretazione estensiva del decreto Lissona.
Nè
si può invocare a difesa la prudenza nei confronti del regime,
perché, su altre questioni, dimostrano, invece, una ben diversa
elasticitò di giudizio.
Il
ministro Lissona ha diramato anche un regolamento sull'insegnamento
religioso nelle scuole, dove aveva previsto, all’interno della
strategia governativa di distensione verso gli ortodossi e i
musulmani, di offrire ai religiosi delle due confessioni la
possibilità di catechizzare nel proprio credo quegli alunni
provenienti da famiglie ortodosse od islamiche.
Ma
su questo, i vescovi riuniti non hanno tema di contrastare il regime.
Afferma, infatti l'arcivescovo: “…
bisogna curare che le disposizioni del Regolamento Lessona
riguardante l’insegnamento catechistico della rispettiva religione
nella lingua materna, restino lettera morta … per i copti vi sono
le loro chiese dove possono essere istruiti senza che uno scismatico
sia ammesso alle nostre scuole, e per i mussulmani vi sono le loro
moschee”
(pp. 312-313).
Insomma,
due pesi e due misure.
E
questo è, per ora, tutto. Certo, tutto va contestualizzato nella
cultura del tempo e non giudicato con il metro della nostra attuale
sensibilità e dunque quel poco che ora sappiamo di più non basta
per mutare in denigrazione il giudizio su Leone Ossola, così come
quel pochissimo che se ne sapeva prima non bastava per la sua
esaltazione.
Direi
che la lezione che ne segue è che, prima di azzardare giudizi netti,
bisogna fare la fatica di cercarsi e leggersi le carte.
Certe
volte non cìè neanche bisogno di andarle a cercare, sono sotto gli
occhi.