Trasferisco qui il mio
spunto polemico di ieri, su Facebook a proposito del SANGUE CONTRO ORO. A parziale smentita delle mie affermazioni,
devo ammettere che qualche accenno antisemita, nella propaganda dell’ epoca non
mancava. L’ebreo era additato come tipico detentore del capitale finanziario.
Ma, torno a dire, lo slogan non era in sé antisemita, basandosi sul conflitto
CAPITALE/LAVORO. Se mai, fu abilmente utilizzato per veicolare una propaganda
antisemita che non riusciva a passare attraverso le pur insistite
argomentazioni pseudoscientifiche bio-antropologiche. Di fatto questo tipo di razzismo
non si radicò mai.
Leggo, prima sul Corriere di Novara, poi su Novara Oggi, la lettera di Roberto Leggero a proposito di un monumento funebre eretto nel cimitero di Trecate.
Lungi da me l'idea di difendere il fascismo, mi preme difendere la verità storica.
Leggero ravvisa nell'espressione "Sangue contro oro" un'apologia di razzismo, interpretandola come: la purezza del sangue ariano contro la potenza dell'oro plutocratico-giudaico-massonico. Ebbene, non è così.
Se così fosse, infatti, i due termini di paragone sarebbero disomogenei: il sangue puro si contrappone a quello impuro e l'oro vero con quello falso.
Il problema sotteso dallo slogan (che fu titolo di innumerevoli articoli di fondo di giornali, nazionali e locali, nel 1943) è di quantità e non di qualità.
Si radica nel concetto di "nazione proletaria", elaborato dai nazionalisti nel primo decennio del secolo, quasi trent'anni prima dell'emanazione delle leggi razziali: "Dobbiamo partire dal riconoscimento di questo principio: ci sono nazioni proletarie come ci sono classi proletarie; nazioni, cioè, le cui condizioni di vita sono con svantaggio sottoposte a quelle di altre nazioni, tali quali le classi" (E. Corradini, 1910). Concetto semplicistico (la III Internazionale lo applicò più correttamente al rapporto tra i paesi imperialisti e le loro colonie), che però a suo tempo ebbe successo, specie tra quei socialisti ingenui che sentivano ancora ben viva l'eredità risorgimentale. Ci cascò anche Giovanni Pascoli.
Da questo punto di vista, lo slogan diventa più chiaro: ognuno ci mette quello che può, le nazioni ricche la potenza economica (oro), quelle povere quella demografica (sangue).
Il concetto si travasò nel fascismo (il numero è potenza), in una politica demografica esplicitamente antiborghese che strizzava l'occhio alle origini sansepolcriste e disegnava il falso scenario di un Italia littoria proletaria e contadina.
Ecco dunque il "sangue contro oro", che divenne, dopo il 1943, parola d'ordine della cosiddetta sinistra fascista, perché contrapponeva l'inciviltà del capitale alla civiltà del lavoro, o - per dirla con Ezra Pound - dell'usura: il sangue dei poveri contro l'oro dei ricchi.
Questo è quanto. L'antifascismo si fa, quando occorre, a bastonate in piazza, se si fa a mezzo stampa, si deve avere un oculato rispetto per la verità storica, se no si finisce - a furia di affastellare inesattezze e approssimazioni, per legittimare quelli che dicono che"Mussolini ha fatto anche cose buone".