Giorgio Cremaschi
Ci aveva già provato Giulio Tremonti. Quando era ancora ministro aveva dichiarato che le pastoie burocratiche della legge 626 sulla sicurezza sul lavoro sono un danno per le imprese. Allora questa affermazione suscitò un diffuso scandalo. Oggi il governo Monti l’ha resa legge dello Stato. Ed infatti il decreto semplificazioni, uno dei tanti con cui il governo sta smantellando regole e diritti, nel suo articolo 14 toglie alle imprese molti vincoli di informazione e di comportamento, e soprattutto, di controllo sulla salute e la sicurezza nel lavoro. E’ un fatto gravissimo, che avviene nel solito totale silenzio del regime informativo e anche, è bene sottolinearlo, senza alcun intervento o interesse da parte di un Presidente della Repubblica, che pure più volte si era espresso contro la tragedia della continua strage sul lavoro.
Ecco, in un paese che vuole rimuovere tutti i suoi tabù, compreso quello dell’articolo 18, l’unico tabù rimasto pare essere l’insindacabilità del capo dello Stato. Eppure ce ne sono di cose da dire.
Il politologo non certo estremista di sinistra Giovanni Sartori, ha scritto che siamo ormai in una repubblica presidenzialparlamentare. Questo non è previsto dalla nostra Costituzione. Era previsto nello Statuto albertino, nella costituzione monarchica, che il re avesse un ruolo determinante nella scelta del capo di governo. Non fa parte questo della nostra Costituzione. Eppure lì stiamo andando, con un governo che nei fatti può essere definito il governo Monti-Napolitano e con un Presidente della Repubblica che va ben oltre il suo ruolo di garanzia e che interviene su tutte le scelte di merito politico che sono di fronte al governo, al parlamento, al paese. Se domani Berlusconi volesse lanciare una campagna per l’elezione diretta del Presidente della Repubblica e per il presidenzialismo, non avrebbe difficoltà ad appoggiarsi ai comportamenti concreti dell’attuale Presidente della Repubblica. Così la Costituzione italiana, tra modifiche di fatto dei ruoli istituzionali, cessione di sovranità all’Europa delle banche e della finanza, obblighi assunti contrattati che non sono sottoposti a nessuna valutazione popolare, così la Costituzione italiana viene progressivamente svuotata. Il Parlamento dei nominati, che fino a poco tempo fa suscitava tanto scandalo, non solo sostiene il governo nominato, ma si prepara anche a cambiare strutturalmente la nostra Costituzione con la modifica dell’articolo 81. Qui non solo si stravolge il senso della nostra Costituzione, visto che non a caso i padri costituenti non avevano minimamente pensato a inserire in essa l’assurdità dell’obbligo del pareggio di bilancio, ma si impegna concretamente la politica economica e le scelte sociali dei prossimi vent’anni. Visto che questo obbligo che ci assumiamo si somma al trattato europeo che impone il rientro dal debito in vent’anni. Nella sostanza, si costituzionalizza una sorta di obbligo al pagamento dell’equivalente dei debiti di una guerra, senza che il popolo italiano sia minimamente in condizioni di poter valutare e decidere cosa si prepara per il suo lungo futuro. E’ un fatto gravissimo, che, ripeto, viene attuato da un Parlamento privo di qualsiasi reale legittimità, che impegna però tutti i prossimi parlamenti, se e quando saranno eletti. Così non va proprio ed è ora di uscire da un timore reverenziale a criticare il ruolo del Presidente della Repubblica in tutto questo. Anche questo timore è segno di una crisi democratica. Solo i re di una volta non erano soggetti alla contestazione e al giudizio dell’opinione pubblica. In una democrazia piena ogni istituzione, ogni carica politica, è sottoposta al vaglio pubblico del suo operato. Per questo il presidente Napolitano è oggi criticabile, criticabilissimo senza che ciò faccia scandalo. E bisogna cominciare a dirlo con forza per non precipitare, senza neanche accorgercene, in un altro sistema costituzionale.
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