In quanto uomo, m'impegno ad affrontare il rischio dell'annientamento perché due o tre verità gettino sul mondo
la loro luce essenziale (Frantz Fanon)

venerdì 2 novembre 2012

miopia da ingordigia












La sinistra borghese sceglie Grillo  


Per molto tempo, Antonio Di Pietro non è dispiaciuto ai vertici del Partito Democratico.
Incarnava, il suo partito, lo spirito di quella parte di piccola borghesia, che pur essendo securitaria e giustizialista, non ha rinnegato del tutto le istanze solidaristiche e democratiche che dovrebbero essere nel dna della nostra repubblica.
Esprime, insomma, lo stato d'animo, talvolta contraddittorio, di ceti sociali in bilico tra essenza borghese ed esistenza proletaria, non sempre pronti a identificare correttamente le ragioni del progressivo deterioramento delle loro condizioni di vita.
Lo stesso di Pietro non è stato immune da strafalcioni, ogni volta che, reagendo a caldo su qualche questione, si è affidato, invece che alla riflessione logica, all'intuizione sentimentale.
Ma essendo uno scaltro contadino del sud, Antonio Di Pietro non ci ha messo molto a dotarsi di una bussola che gli permette di tracciare una rotta sicura, al riparo da brusche inversioni.
Questa bussola è la Costituzione.
Di Pietro se l'è studiata bene, e si è lasciato guidare, ancorandosi così, magari malgré lui, a una fondamentale ispirazione democratica.
Sembrava, quindi, l'alleato ideale del pd, estendendone le proposte a ceti tradizionalmente impenetrabili sul piano elettorale.
In questo contesto, veniva giustamente considerato secondario il fatto che l'idv, proprio per la sua natura di partito d'opinione interclassista, fosse facile preda degli immancabili opportunisti del palcoscenico politico.
Ma, aihmé, com'era prevedibile, una volta assunti i valori costituzionali, per spiriti semplici e poco avvezzi ai bizantinismi, diventava pressoché naturale riconoscere lo statuto dei lavoratori – ad esempio come figlio legittimo della Carta fondamentale.
E si son messi a difenderlo.
Il lavoro salariato, marginale per carenza di ispirazione classista all'interno dell'idv, diventava centrale come soggetto di civiltà giuridica.
Questo diventava imbarazzante per il pd che, convinto di aver acceso un'ipoteca forte sul voto del lavoro dipendente (siamo, pur sempre, il meno peggio), aveva concesso, sulla via della conquista elettorale di altri ceti e della legittimazione da parte dei poteri forti, la propria firma a una serie vergognosa di cambiali in bianco su questo punto.
C'è, allora, il rischio di invertire il trend, con l'idv portatrice di voti piccolo-borghesi che si mette a risucchiare un voto operaio su cui Bersani pensava di aver messo il cappello.
Instaurando rapporti organici con la fiom – che al pd ha tolto il saluto – Di Pietro ha ulteriormente peggiorato la situazione.
Impegnati a tenere a bada gli effetti non più collaterali di quell'idiozia che chiamano primarie, i vertici del pd non hanno badato tanto per il sottile e sono passati direttamente al metodo Boffo.
La missione è stata affidata alla Gabanelli, ottima giornalista, ma incline a confondere il senso comune, scientificamente costruito dai padroni del vapore, con le verità evangeliche.
Ecco quindi Di Pietro messo alla berlina per aver considerato come personale un lascito testamentario che evidentemente era destinato ad un partito che ancora non c'era.
E qui siamo tutti avvertiti, ove ci occorresse la fortuna di un'inaspettata eredità, non dobbiamo azzardarci a toccarla, ma lasciarla lì, per utilizzarla, negli anni a venire, se ci venisse in mente di fondare un partito. Così si fa.
Contando l'aiola dell'orto condominiale, la cantina, un diciottesimo di ascensore e il pianerottolo, a Di Pietro e famiglia è stata contestata la proprietà di 56 appartamenti.
Ora, Antonio Di Pietro, con quel suo inveterato animo da questurino meridionale – ma mì, ma mì, ma mì, quaranta dì, quaranta nott ... – non a tutti piace, neppure a me, ma ci sono questurini che fanno egregiamente il proprio dovere.
Arcitaliano e familista, dota i suoi figli di più case di quante ne abbisognino davvero, e forse di più di quante non meritino, ma lo fa, fino a prova contraria, con i suoi soldi.
Si tratta dunque di un attacco assolutamente infondato che serve però a lasciar tracce indelebili sullo strato più superficiale – e vagamente analfabeta – dell'opinione pubblica e ad aguzzare i denti ad un'opposizione interna sedotta dal fascino dell'embrassons-nous centrista.
Di Pietro e il suo partito vengono buttati a mare perché non sono più abbastanza qualunquisti, non sono più la docile massa di dilettanti allo sbaraglio, da condurre con mano paterna sui sentieri ambiti dal pd.
Il risultato positivo alle elezioni siciliane, dove l'idv, malgrado l'astensione passa da meno di 50 mila voti a quasi 70 mila, mentre il pd dimezza i propri, rende urgente l'operazione e stende un velo sull'eleganza dei modi.
All'orizzonte si profila, infatti, un altro movimento che alle prossime elezioni politiche avrà più voti che intelligenze disponibili.
A molte di queste matricole, che arriveranno con i criteri di una lotteria a Montecitorio o Palazzo Madama, potrebbe sembrare appetibile trasformare l'avventura momentanea in un ben remunerato lavoro stabile, e cercare in più collaudate compagini, i mentori per districarsi nella selva oscura della sopravvivenza politica.
L'idea di una massa di manovra pronta, per calcolo o insipienza, a subire la propria egemonia, alletta gli strateghi del pd.
È una tentazione ricorrente, che li ha portati, di volta in volta, ad incoraggiare tra le righe il voto di protesta, financo alla Lega, nella speranza di poterlo fagogitare almeno in parte.
Stavolta puntano su Grillo, ma gli esiti di queste tattiche raffinate sono sotto gli occhi di tutti.

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