La
sinistra borghese sceglie Grillo
Per
molto tempo, Antonio Di Pietro non è dispiaciuto ai vertici del
Partito Democratico.
Incarnava,
il suo partito, lo spirito di quella parte di piccola borghesia, che
pur essendo securitaria e giustizialista, non ha rinnegato del tutto
le istanze solidaristiche e democratiche che dovrebbero essere nel
dna della nostra repubblica.
Esprime,
insomma, lo stato d'animo, talvolta contraddittorio, di ceti sociali
in bilico tra essenza borghese ed esistenza proletaria, non sempre
pronti a identificare correttamente le ragioni del progressivo
deterioramento delle loro condizioni di vita.
Lo
stesso di Pietro non è stato immune da strafalcioni, ogni volta che,
reagendo a caldo su qualche questione, si è affidato, invece che
alla riflessione logica, all'intuizione sentimentale.
Ma
essendo uno scaltro contadino del sud, Antonio Di Pietro non ci ha
messo molto a dotarsi di una bussola che gli permette di tracciare
una rotta sicura, al riparo da brusche inversioni.
Questa
bussola è la Costituzione.
Di
Pietro se l'è studiata bene, e si è lasciato guidare, ancorandosi
così, magari malgré
lui, a
una fondamentale ispirazione democratica.
Sembrava,
quindi, l'alleato ideale del pd, estendendone le proposte a ceti
tradizionalmente impenetrabili sul piano elettorale.
In
questo contesto, veniva giustamente considerato secondario il fatto
che l'idv, proprio per la sua natura di partito d'opinione
interclassista, fosse facile preda degli immancabili opportunisti del
palcoscenico politico.
Ma,
aihmé, com'era prevedibile, una volta assunti i valori
costituzionali, per spiriti semplici e poco avvezzi ai bizantinismi,
diventava pressoché naturale riconoscere lo
statuto dei lavoratori – ad
esempio –
come figlio
legittimo della
Carta fondamentale.
E
si son messi a difenderlo.
Il lavoro salariato, marginale per carenza di ispirazione classista all'interno dell'idv, diventava centrale come soggetto di civiltà giuridica.
Il lavoro salariato, marginale per carenza di ispirazione classista all'interno dell'idv, diventava centrale come soggetto di civiltà giuridica.
Questo
diventava imbarazzante per il pd che, convinto di aver acceso
un'ipoteca forte sul voto del lavoro dipendente (siamo, pur sempre,
il meno peggio),
aveva concesso, sulla via della conquista elettorale di altri ceti e
della legittimazione da parte dei poteri forti, la propria firma a
una serie vergognosa di cambiali in bianco su questo punto.
C'è, allora, il rischio di invertire il trend,
con
l'idv portatrice di voti piccolo-borghesi che si mette a risucchiare
un voto operaio su cui Bersani pensava di aver messo il cappello.
Instaurando
rapporti organici con la fiom – che al pd ha tolto il saluto – Di
Pietro ha ulteriormente peggiorato la situazione.
Impegnati
a tenere a bada gli effetti non più collaterali di quell'idiozia che
chiamano primarie,
i
vertici del pd non hanno badato tanto per il sottile e sono passati
direttamente al metodo Boffo.
La
missione è stata affidata alla Gabanelli, ottima giornalista, ma
incline a confondere il senso
comune, scientificamente
costruito dai padroni del vapore, con le verità evangeliche.
Ecco
quindi Di Pietro messo alla berlina per aver considerato come
personale un lascito testamentario che evidentemente era destinato ad
un partito che ancora non c'era.
E
qui siamo tutti avvertiti, ove ci occorresse la fortuna di
un'inaspettata eredità, non dobbiamo azzardarci a toccarla, ma
lasciarla lì, per utilizzarla, negli anni a venire, se ci venisse in
mente di fondare un partito. Così si fa.
Contando
l'aiola dell'orto condominiale, la cantina, un diciottesimo di
ascensore e il pianerottolo, a Di Pietro e famiglia è stata
contestata la proprietà di 56 appartamenti.
Ora,
Antonio Di Pietro, con quel suo inveterato animo da questurino
meridionale – ma mì,
ma mì, ma mì, quaranta dì, quaranta nott ... – non
a tutti piace, neppure a me, ma ci sono questurini che fanno
egregiamente il proprio dovere.
Arcitaliano
e familista, dota i suoi figli di più case di quante ne abbisognino
davvero, e forse di più di quante non meritino, ma lo fa, fino a
prova contraria, con i suoi soldi.
Si
tratta dunque di un attacco assolutamente infondato che serve però a
lasciar tracce indelebili sullo strato più superficiale – e
vagamente analfabeta – dell'opinione pubblica e ad aguzzare i denti
ad un'opposizione interna sedotta dal fascino dell'embrassons-nous
centrista.
Di Pietro e il suo partito vengono buttati a mare perché non sono più abbastanza qualunquisti, non sono più la docile massa di dilettanti allo sbaraglio, da condurre con mano paterna sui sentieri ambiti dal pd.
Di Pietro e il suo partito vengono buttati a mare perché non sono più abbastanza qualunquisti, non sono più la docile massa di dilettanti allo sbaraglio, da condurre con mano paterna sui sentieri ambiti dal pd.
Il
risultato positivo alle elezioni siciliane, dove l'idv, malgrado
l'astensione passa da meno di 50 mila voti a quasi 70 mila, mentre il
pd dimezza i
propri, rende urgente l'operazione e stende un velo sull'eleganza dei
modi.
All'orizzonte
si profila, infatti, un altro movimento che alle prossime elezioni
politiche avrà più voti
che intelligenze disponibili.
A
molte di queste matricole, che arriveranno con i criteri di una
lotteria a Montecitorio o Palazzo Madama, potrebbe sembrare
appetibile trasformare l'avventura momentanea in un ben remunerato
lavoro stabile, e cercare in più collaudate compagini, i mentori per
districarsi nella selva oscura della sopravvivenza politica.
L'idea
di una massa di manovra pronta, per calcolo o insipienza, a subire la
propria egemonia, alletta gli strateghi del pd.
È
una tentazione ricorrente, che li ha portati, di volta in volta, ad
incoraggiare tra le righe il voto
di protesta, financo
alla Lega, nella speranza di poterlo fagogitare almeno in parte.
Stavolta
puntano su Grillo, ma gli esiti di queste tattiche raffinate sono
sotto gli occhi di tutti.
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