In quanto uomo, m'impegno ad affrontare il rischio dell'annientamento perché due o tre verità gettino sul mondo
la loro luce essenziale (Frantz Fanon)
domenica 17 marzo 2013
sabato 9 marzo 2013
venerdì 8 marzo 2013
casa per tutti o tutti a casa
Nel disegno infantile la casa rappresenta la famiglia e il senso di sicurezza o di precarietà che questa struttura nel bambino.
Ciò, beninteso, a patto che il bambino una casa vera ce l'abbia.
Forse la psicologia infantile dovrà cambiare i suoi parametri, perché aumenta il numero di bambini che una casa non ce l'hanno. E non sempre per colpa dei terremoti.
Negli anni '70 fu specialmente Lotta Continua a portare avanti la lotta per la casa, non più intesa come servizio sociale, ma come diritto.
Da queste lotte sortì l'equo canone, che moderava la rapacità della rendita, commisurando il canone d'affitto al valore effettivo dei locali e commisurandolo ai redditi dell'affittuario.
Fu Giuliano Amato, pensatore della nuova destra socialista inaugurata da Bettino Craxi, ad abolire l'equo canone per, a suo dire, rilanciare l'edilizia.
Il diritto alla casa fu messo in forse.
Si ritenne normale, a fronte di stipendi da 900 euro, di pretenderne 600 d'affitto. Si disse che era il prezzo di mercato, benché l'enorme numero di appartamenti sfitti dimostrasse il contrario.
A questo punto, di fronte alla prospettiva di versare forti somme a fondo perduto, la gente cominciò a comprarsi casa.
Per una normale famiglia di lavoratori, il passaggio dall'affitto al mutuo non rappresenta un risparmio a breve termine, il rateo mensile, nella stragrande maggioranza dei casi, aumenta. Aggiungiamo che, con la scusa di un'assicurazione obbligatoria con premio usuraio, contratta con una società di cui in genere la banca e socia, quest'ultima riesce a farsi pagare, oltre ai dodici ratei annui, una sostanziosa tredicesima.
Orbene, si è stabilito che per queste case, che ancora si stanno pagando e che rischiano di tornare in possesso della banca, si paga una tassa.
In pochi anni la casa da diritto è diventato lusso.
Ma non basta, mentre questi poveri cristi continuano a pagare a prezzo pieno una casa che si è svalutata, lo stato a pensato bene di andare in controtendenza, rivalutando le rendite catastali.
Il lavoratore è così sottoposto al fuoco di fila del padrone, che lo paga male, delle banche che vogliono tanto e del fisco che vuole troppo.
Un eccesso di sanguisughe non più sopportabile.
Ci vuole:
Nessun governo che non dia risposta a questa emergenza è tollerabile.
Ci vuole:
- la reintroduzione dell'equo canone
- l'abolizione dell'Imu sulla prima casa
- un piano straordinario di edilizia popolare.
sabato 2 marzo 2013
fascismo: aggettivo e sostantivo
Elio Vittorini
(da "Il Politecnico" n. 15 - 5 gennaio 1946)
Ricevo spesso lettere di giovani che sembrano ancora confusi o disperati, o almeno umiliati, di essere stati fascisti. Hanno ventiquattro, venticinque, o anche solo vent'anni, uno mi dice di averne diciotto, e sono di ogni classe sociale, l'operaia non esclusa, sebbene per la maggior parte dichiarino di studiare all'Università o di essersi appena laureati. Per metà ritornano dai campi di concentramento in Germania o da campi di prigionia; dell'altra metà c'è qualcuno che è stato soldato nell'esercito di Graziani o nella X Mas. Ma non manca chi ha fatto il partigiano e si sente tuttora in colpa per essere stato "fino ad un certo momento" fascista. Ognuno ha la sua da a "fino alla quale" è stato "fascista": fino a gennaio '43, fino a febbraio '43, fino a marzo '43, e fino al 25 luglio o l'8 settembre '43, fino a un mese o all'altro del '44, uno addirittura "fino a ieri mattina", mi dice, scrivendomi il 5 novembre ultimo scorso. Ma in tutti è lo stesso motivo per cui mi scrivono: la stessa confusione, la stessa
disperazione, lo stesso sentimento di inferiorità e la stessa speranza di liberarsene; tutti dicono le stesse cose; e tutti in egual modo colpiscono per l'onestà dell'animo che rivelano.
Perché si rivolgono a me? Scrivono a proposito di qualche articolo del POLITECNICO, ma sempre vanno oltre l'occasione immediata, si richiamano ai miei libri, e mostrano che da un pezzo cercavano "qualcuno a cui rivolgersi". Le loro lettere cominciano ad arrivare dopo il primo numero del POLITECNICO: furono due dopo quel primo numero, io volevo subito rispondere, ma le lettere si moltiplicavano, diventavano decine, sono diventate centinaia, e ora sono contento di non aver risposto subito perché, grazie a quello che ho imparato leggendole, ora posso rispondere molto meglio. Siano rimasti "fascisti" fino all'ultimo, o abbiano avuto qualche anno di antifascismo attivo nella lotta clandestina, in tutti questi giovani è la cosa più notevole che ognuno accusi se stesso di non essere stato "un uomo": aver potuto esserlo... Pensano di essere stati "non-uomini", e cercano una smentita, vogliono una speranza. Da chi averla? Sono difficili ad aprirsi. Il bisogno di aprirsi è quasi bisogno di buttarsi allo sbaraglio, in
loro, ma è anche bisogno di essere compresi, considerati. E che essi si rivolgano a me non dimostra niente per me. Mostra solo come sia grande la voglia loro di trovare qualcuno a cui rivolgersi.
Oggi, la loro crisi
Ora io rispondo a tutti insieme. A bella posta non distinguo tra la crisi di chi dice di essere stato "non uomo" (cioè "fascista") fino al gennaio o luglio '43 e la crisi di chi dice di esserlo stato fino ad un mese fa. Possono esserci differenze tra gli uni e gli altri. Certo ci sono. Ma spiritualmente non contano se non hanno evitato la crisi, o non hanno portato a superarla. Di che cosa è in effetti la loro crisi? Fosse semplicemente di "colpevoli" sarebbe presto risolta con l'autoriconoscimento della loro colpa. Ma è di persone che si "credono colpevoli" senza propriamente esserlo, e non può risolverla, di loro, che chi riesce a convincersi di non essere colpevole. Se molti giovani hanno oggi la coscienza tranquilla è perché si sono convinti di non aver commesso nessuna colpa, e non perché pensino di aver scontato in qualche modo (con la partecipazione alla lotta clandestina) la parte avuta (attiva o passiva), nel fascismo. Non dobbiamo dunque dire a ogni giovane ch'egli ha il diritto (in quanto giovane,
e cioè in quanto cresciuto sotto il fascismo) a convincersi di non essere colpevole? Non dobbiamo anzi aiutare ogni giovane a convincersi di non essere colpevole? E l'unico modo per aiutarli a convincersi di non essere colpevoli è di mostrar loro quello che in realtà sono stati: strumenti sì del fascismo, ciechi dinanzi a quello che il fascismo era, vittime di quello che sembrava, deboli, non forti, ma non fascisti.
Che cos'è il fascismo?
Qui dobbiamo anche dire che cosa sia propriamente il fascismo, che cosa sia stato in Italia, e che cosa abbia potuto sembrare. La propaganda reazionaria di oggi, specie l'anglosassone e non esclusa quella vaticana, cerca di farlo passare per un fenomeno di aberrazione morale. Così può condannarlo e colpirlo solo nel suo aspetto esecutivo: nella dittatura materiale, nelle persecuzioni poliziesche, nelle efferatezze repressive, nella forma, nel metodo. Ma non lo colpisce né lo condanna nella sua causa o nella sua natura intrinseca. Questa causa e questa natura non sono italiane o tedesche, sono anche anglosassoni, anche vaticane, di tutto il mondo, e la propaganda reazionaria di oggi non può condannare una causa e una natura della quale essa stessa è complice; condanna gli esecutori materiali e sottrae i veri responsabili ad ogni possibilità di essere colpiti; condanna l'aggettivo e mette al sicuro il sostantivo.
Il fascismo come sostantivo
Che cos'è il fascismo come sostantivo? Possiamo ammettere che sia aberrazione. Ma è aberrazione politico-economica, non semplicemente morale. Moralmente potrebbe prendere perfino aspetti dignitosi e venerandi; parlamentari, pontifici; aspetti inglesi, aspetti americani e aspetti vaticani? E' la sua sostanza politico-economica che conta. E questa sua sostanza è il capitalismo, giunto al suo stadio massimo di sviluppo industriale e finanziario, che attacca per difendersi e conservarsi. Esso vede un pericolo mortale nello sviluppo contemporaneamente raggiunto dal proletariato. Vede che lo sviluppo del proletariato è stato favorito, sul campo politico, dalla democrazia. Vuole arrestare questo sviluppo, fermare la democrazia politica che favorisce questo sviluppo, ed estende la sua dittatura economica al campo politico. Che cos'è, dunque, come sostantivo, il fascismo? L'ho detto: estensione della dittatura capitalistica al campo politico.
Anche il capitalismo ha avuto bisogno, per svilupparsi, della libertà politica. Oggi che ha raggiunto lo stadio estremo del suo sviluppo, il capitalismo non ha più bisogno della libertà politica. La tollera come una specie di PREZZO che paghi in cambio del diritto di esercitare la sua dittatura economica? Ma questo PREZZO diventa sempre più caro, diventa pericoloso, minaccia di eliminare la sua dittatura di classe, ed ecco il capitalismo tentare di non pagarlo più, o ridurlo, limitarlo, portarlo su un conto a credito, trasformarlo in carta straccia eccetera, è fascismo. Ogni tentativo, dico; quello demagogico e totalitario come è stato l'italo-tedesco, quello subdolo e complesso che mostra saltuariamente la faccia in Inghilterra o in America, quello anche più subdolo e complesso che dà il tono codino a certe prediche non domenicali dell'OSSERVATORE ROMANO e infiniti altri; quelli che sono stati e quelli che saranno.
Il "fascismo" che fu dei giovani
Ma i giovani che mi scrivono potevano sapere che fosse questo il "fascismo"? Ancora oggi sembra che non lo sappiano. Essi si fanno una colpa di essere stati "fascisti" in senso di "aberrazione morale", cioè nel senso del fascismo-oggettivo, e non nel senso del fascismo-sostantivo. Non hanno mai visto la faccia del fascismo-sostantivo. Difficilmente avrebbero potuto vederla. Il fascismo italiano ha sempre avuto cura di nascondersela, e se nei fatti si è a poco a poco tradito lo stesso era difficile che dei giovani tirati su per non capire potessero capire. Chi ha fatto qualcosa perché capissero? L'antifascismo era all'estero, e la sua voce giungeva in Italia come tutto il resto che giungeva in Italia dall'estero: deformato, reso inattuale, ridicolo. Pure i giovani erano generosi; non erano reazionari; non erano per Donegani, Agnelli, ecc.; ma contro Donegani, Agnelli, ecc.; erano per un progresso, per "una migliore giustizia sociale", e per l'eliminazione del latifondo, e la socializzazione delle grandi impre
se. Il fascismo disse loro di essere appunto questo: progresso, giustizia sociale, eliminazione del latifondo, ecc. Si presentò loro come anti-Donegani, e nessuno disse loro ch'era invece l'espediente estremo dei Donegani.
Per disgrazia esistevano in Italia forze più reazionarie del fascismo: residui feudali e codini dei vecchi partiti di destra che il fascismo con la sua importazione moderna di regime pro-monopoli, aveva nettamente superato; essi resistevano, fu facile far sembrare che fosse in essi tutto l'antifascismo; e i giovani si persuasero che il fascismo fosse una lotta contro ogni sorta di reazionari per l'attuazione di un programma socialmente rivoluzionario. Basta scorrere i giornali giovanili specie del periodo fra il '31 e il '35, per averne la prova. Gli slogans demagogici del fascismo diventano, su quei fogli, argomento di dibattito entusiasta, e motivo di attacco concreto al capitalismo, alla borghesia, ai rapporti di produzione della società borghese. I giovani contano su uno sviluppo del fascismo in senso collettivista. Contano anche su di un riavvicinamento dell'Italia all'URSS. E se poi non avviene niente che li confermi in quello che sperano, essi danno la colpa alla "reazione insinuatasi", dicono, "nel p
artito fascista".
Non sono frottole che racconto. Qui io parlo di un'esperienza che è anche mia. E io sono nato nel 1908, non nel '20 o nel '22. Avevo già 14 anni l'anno della marcia su Roma. Avevo sentito parlare, in qualche modo, di come era nato il fascismo. Eppure dopo una prima diffidenza dovuta solo al fatto di essere stato iscritto d'ufficio, come studente di scuola media, nelle organizzazioni giovanili fasciste, anch'io mi "agitai" nel senso che ho descritto qui sopra, su fogli fascisti più o meno di provincia. Debbo dirlo a questi ragazzi che mi scrivono. Anch'io sono stato uno di loro. Sono stato "non acuto", e "non forte", Non-uomo? Sono stato "dei deboli". Ma quale giovane che non sia stato mai, qui in Italia, "dei deboli" può essere oggi dei "veramente forti"? Per me personalmente la cecità dinanzi al fascismo finì presto. L'aggressione all'Europa, che riconciliò col fascismo tutti i residui prefascisti della reazione italiana, mi mise dentro i primi dubbi. Era questo che sapeva fare il fascismo? Ripetere nel sec
olo XX imprese di epoca mercantilistica? L'avvicinamento alla Germania di Hitler e l'appoggio dato a Franco in Spagna mi restituirono del tutto la capacità di capire. L'autunno del '36 osai scrivere per un settimanale "che il fascismo" avrebbe dovuto dare il suo appoggio al governo di Madrid, non a Franco. E il settimanale osò pubblicare (pur tagliando qualche frase). Non ero solo nella mia evoluzione. Così venni espulso dal partito fascista, e mi avviai a pensare come oggi penso. Potrei per questo rimproverare i più giovani di me di non aver seguito la mia stessa evoluzione, e di non aver rotto col fascismo alle sue "prime prove"? Io ero nato nel 1908: avevo vissuto in qualche modo, come si fosse "formato" il fascismo; avevo in me una diffidenza di "prima"; e leggevo molto... Avevo inoltre simpatie e antipatie istintive; simpatie per gli americani e i russi, antipatie per la Germania di Hitler la chiesa spagnola e i generali carlisti. Sarei stato capace di arrivare a conoscere il SOSTANTIVO fascista senza l
a mia fortunata antipatia per gli AGGETTIVI di cui si adornavano i suoi nuovi complici?
Da sempre, contro il "sostantivo"
So di molti giovani che si staccarono dal fascismo durante la guerra civile spagnola. Ma i giovani che, in numero molto più grande, rimasero legati al fascismo malgrado quella guerra e malgrado l'Anschluss, malgrado Monaco, malgrado il '39 o il '40 o il '41 o il '42; gli stessi giovani, ormai in minoranza, che si trascinarono dietro al fascismo anche malgrado l'occupazione dei tedeschi dell'Italia; questi ragazzi che mi scrivono, e tutti i ragazzi pari loro che vorrebbero "spiegarsi con qualcuno", non rimasero legati al fascismo in un modo diverso dal modo in cui erano stati legati al fascismo, e io stesso ero stato legato al fascismo, prima del'intervento fascista in favore della reazione spagnola. Io sono sicuro che il modo continuò ad essere per loro (i "deboli", dentro all'inganno, semplici militanti operai, o semplici militanti studenti, semplici ragazzi in buona fede, pronti a pagare di persona, e non quelli che c'erano per far carriera) più o meno lo stesso ch'era stato per me fino al '36; un modo sci
occo, se vogliamo, ma non reazionario; un modo anti-Donegani, non pro-Donegani, e modo anti-inglese, anti-americano, anti-mezzo-mondo per quello che di doneganesco e non altro si lasciava vedere loro di tutto questo mondo. Non dobbiamo dimenticare che la propaganda fascista è stata tale da coltivare nei giovani l'illusione di essere rivoluzionari ad essere fascisti. E più il fascismo si è avvicinato alla sconfitta più la propaganda fascista è stata tale. Fino all'ultimo i giovani hanno potuto credere che il fascismo fosse in lotta contro ogni sorta di reazionari per l'attuazione di un programma socialmente rivoluzionario. Posso esprimermi con un paradosso? E' stato un modo antifascista, il loro modo di esser "fascisti".
Questo ora, io credo si debba dirlo a ragazzi come quelli che mi scrivono oppressi da un sentimento d'inferiorità per essere stati "non-uomini", "fascisti". Potremmo lasciarli al loro sentimento d'inferiorità? Sarebbe lasciare che non diventino mai "uomini". E che si corrompano; mentre, in effetti, sono puri. Io voglio dirlo loro. Voi non siete mai stati fascisti. Il vostro modo di esserlo, fino a qualunque data lo siate stati, è stato un modo "antifascista". Siete stati anche "deboli"? Ma appunto perché siete stati tra i "deboli", e conoscete che cosa sia essere "deboli", voi potete essere oggi dei più forti tra i "forti". Non sempre è la più vera forma quella di chi è stato "sempre forte". Oggi che il fascismo-aggettivo è finito importa essere "forti" contro il fascismo-sostantivo che mai vuol finire; e questo conoscere, questo combattere. Voi non siete mai stati fascisti nel senso sostantivo; anzi credevate di combattere, nel vostro combattimento "fascista" proprio il fascismo sostantivo. E non dovreste c
ombattere da antifascisti quello che pensavate di combattere già nel vostro combattimento "fascista"? Non vi sono più possibilità di equivoci, oggi. Il fascismo è lì: dietro ai Donegani, agli Agnelli, i Marinotti, e solo chi è per loro, in qualunque modo e con qualunque nuovo aggettivo sia per loro, è fascista. Voi siete per loro? Non lo siete mai stati. Voi avete dunque lo stesso diritto dei più vecchi antifascisti ad essere, oggi, antifascisti. Avete il diritto ad essere "uomini".
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