In quanto uomo, m'impegno ad affrontare il rischio dell'annientamento perché due o tre verità gettino sul mondo
la loro luce essenziale (Frantz Fanon)

mercoledì 24 agosto 2022

Qualche appunto sulla filosofia di Aleksandr Gelʹevič Dugin

 

Non sono uno studioso della filosofia di Dugin e non mi sono preso la briga di leggere per intero il suo «Философиа войны» (Moskwa, Яуэа, 2004). La parte introduttiva dell’opera basta (e avanza) per farsi un’idea della impostazione del suo pensiero.

1. Труд и Капитал. Quella che di norma viene chiamata lotta di classe, in Dugin assume l’aspetto di una lotta teogonica tra Lavoro e Capitale, scritti così, con la maiuscola, come se fossero forze naturali personificate alla maniera di Esiodo. Che Dugin ragioni per coppie di opposti che sembrano possedere una propria soggettività, verrà confermato più avanti, quando il filosofo scenderà sul campo della geopolitica.

Pur mitologizzata, la lotta tra capitale e lavoro è ricondotta, metodologicamente, e più o meno correttamente, alle corrispondenti categorie marxiane. L’apparente ortodossia è finalizzata alla conclusione che, per l’insufficiente sviluppo delle forze produttive – così come predetto da Marx – la Rivoluzione in Russia non sarebbe mai potuta accadere.

Se dunque la rivoluzione c’è stata, deve essere stata determinata da fattori diversi dal meccanicismo della lotta di classe, e più precisamente sotto la spinta di una serie di elementi volontaristici e spirituali (messianesimo nazionale – diffuso tra gli Ebrei russi e dell’Europa orientale, tendenze al settarismo millenaristico – comuni al popolo e a settori intellettuali, stile cospirativo – incarnato nel leninismo e poi nello stalinismo).

Messe a nudo le radici medievali della Rivoluzione d’Ottobre, diventa facile l’analogia con l’analogo (ma meno radicale ) cocktail di ingredienti alla base «della vittoria di un'altra forza anticapitalista, che è riuscita a realizzare in pratica una rivoluzione quasi socialista , ovvero il Fascismo italiano e il nazionalsocialismo tedesco».

Qui si comprende in tutta la sua portata l’occasione perduta: «il rifiuto dello stesso sistema sovietico di trarre le conclusioni ideologiche più importanti – con la necessaria correzione delle visioni culturali e filosofiche di Marx – dal proprio successo, che avrebbe potuto, a sua volta, facilitare un dialogo produttivo con il fascismo, soprattutto nella sue versioni di sinistra».

Per Dugin resta questione di poco conto il fatto che questo benedetto capitale (c minuscola) rimanga, o no, nelle tasche di chi lo detiene, l’importante è averne parlato male. Infatti, accanto a fascismo e nazismo, come partner sventatamente perduto del fronte unito del Lavoro (L maiuscola) aggiunge la socialdemocrazia in tutte le sue varianti.

Per noi Italiani, tutto ciò non dovrebbe costituire una novità. Teorie politiche analoghe (compresa qualche mistica nebulosità) furono sostenute sia da Bombacci che dalla sinistra corporativa, per tutto il ventennio e particolarmente durante la RSI. Nel dopoguerra, Stanis Ruinas, dalle colonne del suo periodico «Il Pensiero Nazionale», si adoperò per traghettare a sinistra gli elementi più coerenti di questa tendenza di pensiero, e così il PCI, accanto a tanti deputati provenienti dalle fila partigiane, ne ebbe uno che aveva combattuto nella X MAS.

Ma il meccanismo del processo era esattamente l’opposto di quello teorizzato da Dugin: depurare il nucleo di pensiero sociale concreto dalla sovrastruttura spiritualistica di vent’anni di educazione fascista (separare il fascismo aggettivo dal fascismo sostantivo, avrebbe detto Vittorini).

2. Море и Суше. Sul piano geopolitico, Mare e Terra sono assunti esplicitamente come coppia teleologica, soggetti, dunque, di un finalismo (forse già insito nella Creazione che provvede tempestivamente a separarne le masse).

«Sono sinonimi di un'altra coppia: Ovest - Est, dove si considerano Ovest e Est non solo come concetti geografici, ma come blocchi di civiltà».

Il mare incarna il concetto di perenne movimento, agitazione (ажитацию), mentre la terra incarna il principio di costanza, fissità, conservatorismo (консерватизма). Qui la contemporanea filosofia di Dugin flirta con un linguaggio (e forse con una Weltanschauung) presocratica.

Questa riedizione della querelle tra essere e divenire sottende ulteriori coppie oppositive:

                                   Terra (est) – gerarchia / Mare (ovest) – caos

                                   Terra (est) – ordine / Mare (ovest) – dissoluzione

                                   Terra (est) – maschile / Mare (ovest) – femminile

                                   Terra (Est) – tradizione / Mare (ovest) – modernità

                                   ...

Evidentemente, nella sua rivisitazione, Dugin ignora Eraclito, perché queste opposizioni devono rimanere inconciliabili e non possono diventare poli dialettici. Che nella polarizzazione sia implicito un giudizio valoriale, è detto esplicitamente: «solo una civiltà terrestre fornisce una base sacra, giuridica, etica che può fissare sistemi di valori».

La penultima incarnazione storica di questa eterna disputa ha visto schierati gli USA, e la NATO, contro l’URSS e il Patto di Varsavia, e quest’ultimo blocco, in barba alle tante pagine sprecate sul materialismo dialettico, era posto a difesa dell’immobilismo, del vecchio, del regressivo e dell’ordine, tanto simbolico quanto costituito.

Tale confronto bipolare era però viziato in partenza dalla precedente avventura delle Potenze dell’Asse, la cui sconfitta aveva dato titolo alle potenze del Mare di spezzare l’unità eurasiatica.

Due rimedi, afferma Dugin sulla scorta di Jean Thiriart (fondatore del movimento eurofascista Jeune Europe), ci sarebbero stati: la conquista dell’intera Europa da parte del blocco socialista o, in alternativa, la dissoluzione della NATO, con una conseguente neutralità dell’Europa Occidentale, che avrebbe permesso all’URSS di far ordine in Asia Centrale. Ma, come sappiamo, le cose non sono andate così.

Il parallelismo (non casuale) tra spiegazione storico-economica e geopolitica della parabola sovietica, suggerisce una nuova serie di termini oppositivi, in cui fa capolino la nozione filosoficamente inquietante di destino:

                        Il destino del Lavoro = il destino della Terra, l'Oriente.

                        Il destino del Capitale = il destino del Mare, l'Occidente

Le uguaglianze sono corroborate da un affascinante apparato analogico: « Il lavoro è fisso, il capitale è liquido. Il Lavoro è creazione di valori, ascesa (=восхождение, etimologicamente «вос-ток» = verso est); il Capitale è sfruttamento, alienazione, caduta (autunno delle cose = грехопадение вещей, etimologicamente «за-пад» = verso ovest ).

L’integrazione delle coppie Lavoro-Capitale e Terra-Mare, permette (forzosamente) una critica anche sul piano economico-politico dell’occidente, critica precedentemente condotta esclusivamente sulla scorta di categorie morali e spirituali: «La civiltà marittima è la civiltà del liberalismo. La civiltà della terra è la civiltà del socialismo. Eurasia, Terra, Oriente, Lavoro, socialismo sono una serie di sinonimi. Atlantismo, Mare, Occidente, Capitale, liberalismo, mercato sono anch’essi sinonimi». Ma, come si vede, questa è una serie di assiomi, indimostrabili per il semplice fatto che mancano i soggetti per tentare una dimostrazione: le classi sociali. Per Dugin Capitale e Lavoro restano valori astratti e non diventano mai capitalisti e lavoratori, soggetti concreti.

 

È naturale che la teoria di sviluppo storico delineata da Dugin si completi con l’argomento etnico-razziale. Confesso di aver letto distrattamente questa parte, e di non poter dar conto dei ragionamenti sulle etnie forti, che credono nel proprio destino e su quelle deboli e rinunciatarie. Considero obsoleta la categoria analitica proposta e non più fondata scientificamente come criterio di ragionamento. Il suo utilizzo non serve che a confermare l’inattualità filosofica di Dugin, fenomeno forse più assimilabile a quello dei predicatori della tanto disprezzata “civiltà del mare”, che non legittimo rappresentante dello sviluppo della filosofia postsovietica.

Giuseppe Veronica

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