Ne ricordo a decine, in un certo periodo della storia recente furono chiamate leggende metropolitane e Cesare Bermani ci scrisse un bel libro («Il bambino è servito»). La dizione “leggende metropolitane” rendeva più giustizia sia all’anonima fonte della loro diffusione, sia alla loro natura di rielaborazione mitopoietica della realtà. L’analogia è evidente, nessuno chiamerebbe fake new il racconto della cacciata dall’Eden.
Si potrebbe pensare all’abituale pessima abitudine che abbiamo di sostituire termini della nostra lingua con corrispondenti anglofoni, ma non è così, la nozione di Urban legends esiste anche nella cultura anglosassone.
Devono essere, quindi, qualcosa di diverso.
Wikipedia dà questa definizione: « An urban legend, myth, or tale is a modern genre of folklore. It often consists of fictional stories associated with the macabre, superstitions, ghosts, demons, cryptids, extraterrestrials, creepypasta, and other fear generating narrative elements». La conclusione, «altri elementi narrativi che incutono timore» estende il campo alla fantascienza. La leggenda delle “scie chimiche” dovrebbe entrare, dunque, di diritto, nell’ambito delle leggende metropolitane, invece è considerata una fake new. Al termine del ragionamento, apparirà chiaro trattarsi di una leggenda metropolitana che è diventata una fake new.
Il termine fake, falso, si contrappone ovviamente a true, vero. Ci deve dunque essere stata, in sordina, una restaurazione della nozione di verità, che un decennio abbondante di relativismo aveva messo in ombra («non ci sono fatti, ma solo interpretazioni»). Dico in sordina, perché la lunga contesa tra relativismo e realismo, dipanatasi tra le colonne di «MicroMega» e de «Il Manifesto» si era conclusa senza vincitori né vinti.
Bisogna tener conto di questo fatto, che cioè qualcuno, da qualche parte abbia, clandestinamente e dogmaticamente riaffermato il valore della verità, messo in dubbio sul piano filosofico, per contrapporlo alla menzogna. Un’operazione ardita, che procede sul filo del rasoio, perché culturalmente omogenea alla teoria del politically correct, con cui non può entrare in contraddizione.
Il politicamente corretto ha, infatti, sconvolto la percezione comune di «naturale» e ha quindi fatto ricorso proprio a quel relativismo, che ora bisogna negare per riaffermare il verum, pulchrum et bonum di una nuova Scolastica.
Ma questa operazione complicata e di notevole valenza epistemologica, è passata inosservata per il semplice fatto di non esserci stata. Con molto coraggio si tenta di definire il falso senza avere definito il vero. Paradossalmente, il falso è diventato l’unica nozione certa che rientra nel principio di contraddizione della logica classica, ¬(A ∧ ¬A) (A non è non A), mentre il vero resta avvolto nella nebulosità relativista: cosa sia quell’A non lo sappiamo.
La natura asimmetrica e discrezionale di una tale procedura ne rivela il carattere squisitamente politico: la nozione di fake new è stata introdotta per mascherare la surrettizia imposizione di una verità ufficiale. È il falso che definisce il vero, e non viceversa.
Un simile procedimento di argomentazione in negativo potrebbe sembrare una generalizzazione e rovesciamento del « principio di falsificabilità» di Popper, ma questo principio, nel recente passato ossessivamente alla ribalta, è stato, in questi ultimi due anni, messo un po’ da parte. Proviamo ad applicarlo, nel suo campo originale di applicazione, all’affermazione: «chi è vaccinato si ammala in maniera meno grave e non muore» e provate voi a suggerire un esperimento che possa falsificare qualcosa che non è avvenuta. Il rischio è di portar acqua al mulino degli inventori, trafficanti, consumatori di fake news. Meglio, dunque, lasciar da parte Popper.
Perduto quest’ultimo appiglio per dotarsi di uno statuto ontologico, la verità si afferma solo per decreto, applicato ad ogni singola falsità. Possiamo allora dire che le fake news hanno realizzato un orwelliano «Ministero della Verità» anonimo e indomiciliato (ricercatori indipendenti), la cui vaghezza dovrebbe inquietare. La storia ci dirà se gli impiegati del ministero della verità e quelli del ministero della falsità lavoravano nello stesso ufficio o porta a porta.
Giuseppe Veronica