Nell'ultimo numero di Alternative per il socialismo Fausto Bertinotti osserva, a proposito dello sciopero del 9 marzo dei metalmeccanici, che nella manifestazione c'erano solo operai e operai soli. Ed infatti tali ci appaiono oggi, quando e se ci appaiono, perché in realtà sembrano scomparsi.
Già all'XI congresso della CGIL (1986), a fronte dei grandi cambiamenti tecnologici in atto, Luciano Lama prevedeva una progressiva riduzione della componente operaia del lavoro.
In realtà, se nel 1961 l'industria occupava 7.886.000 addetti, nel 2001 ne conservava ancora 7.030.000. Tenendo conto della distruzione, avvenuta nel frattempo, di una poderosa industria chimica, non sembra esserci stata, nella misura prevista, la terziarizzazione vaticinata.
Se dunque è vero che le dimensioni delle industrie sono cambiate, è altrettanto vero che in Italia il numero degli operai resta notevole.
Ma la propaganda è più forte della realtà e oggi, soprattutto a sinistra, è moneta corrente l'affermazione per cui non esisterebbe più la classe operaia. Il giovane, deciso e combattivo Gasparazzo sembra dunque avere lasciato il posto all'anziano, sconfitto e rassegnato Cipputi, immagine di un ormai residuale statuto ontologico operaio.
Del resto l'operaio non è neppure l'immagine di riferimento, agli albori del novecento, del nascente movimento socialista italiano.
Infatti il simbolo del primo proletariato italiano è quello immortalato da Pellizza da Volpedo, un quarto stato composto evidentemente da braccianti agricoli.
Questa iconografia, che è aderente alla realtà nazionale si manterrà a lungo. Ancora nel 1928, il proletario cui spetta il compito storico di decapitare il fascismo, è, sulla tessera del PSI, un contadino.
C'è dunque la falce, ma per il martello ci si dovrà riferire più al simbolico mito di Prometeo che agli operai in carne e ossa.
La parabola del quarto stato si chiuderà proprio all'indomani dell'XI congresso della CGIL.
Nell'aggiornamento dell'opera di Pellizza possiamo ancora scorgere un paio di tute blu, ormai minoritarie in un universo del lavoro dove predominano le fasce impiegatizie e si intravedono di già le partite IVA.
Dura dunque all'incirca poco più mezzo secolo il protagonismo della classe operaia nell'iconografia italiana di matrice politica.
Tornato alle tesi socialisteggianti delle origini, il fascismo della RSI cerca, almeno nelle intenzioni dei suoi esponenti di sinistra, un dialogo privilegiato con gli operai. Dopo il tradimento della monarchia si guarda con sospetto alla borghesia, che pure aveva entusiasticamente sostenuto il fascismo, e si confida maggiormente nell'elemento popolare.
Con la parola d'ordine: sangue contro oro, riprende vigore la teoria della guerra rivoluzionaria delle nazioni proletarie contro le plutocrazie imperialiste.
Il nuovo ordine mondiale che si vuole stabilire è una serena prospettiva di lavoro che sembra modellata sulle aspettative operaie.
I nemici da battere sono il capitalismo e il giudaismo, inteso come quintessenza della finanza. La polemica con il bolscevismo pare improvvisamente sopita. Ma accanto alla propaganda fascista di nostalgia sansepolcrista, compaiono sui muri delle città del nord i manifesti del PK (Propaganda Kompanien) tedesco. Anche quelli si rivolgono agli operai, e li rappresentano.
Ma la stragrande maggioranza degli operai non abboccherà né all'uno, né all'altro amo, nelle fabbriche, nelle città e in montagna comincia la Resistenza, di cui saranno la spina dorsale.
Nel dopoguerra tocca ancora a loro. La loro forza è necessaria per la conquista della repubblica e di una costituzione socialmente avanzata.
L'Italia è ancora un paese a forte vocazione agricola e il proletariato rurale prevale su quello urbano.
Dietro Garibaldi c'è falce e martello? - si chiede il giornale murale del Fronte Popolare - certo! il martello degli operai e la falce dei contadini!
Nell'aspro scontro del '48, anche la DC corteggia il voto operaio, nello stile repubblichino di Boccasile.
Questa volta il pericolo bolscevico ricompare e a scamparla sono gli ebrei, mentre il capitalismo, almeno a parole, sembra non piacere a nessuno.
Non piace, ma c'è, e la polizia di De Gasperi e Scelba gli fa da cane da guardia.
Alle Fonderie Reggiane di Modena, lo sciopero finisce in un massacro. I volti degli operai che compaiono sui manifesti sono, di nuovo, immagini di caduti.
Negli anni '50 cresce rapidamente l'industria che presto prevarrà sull'agricoltura, il compito di spezzare le catene dell'oppressione è ora affidato all'operaio.
Ma la repressione è forte, dopo la vittoria democristiana del 18 aprile il padronato, spesso compromesso con il fascismo, ha rialzato la cresta, spalleggiato da un apparato di polizia e magistratura in sostanziale continuità col ventennio.
Dopo l'attentato a Togliatti e la rottura dell'unità sindacale, nelle fabbriche si moltiplicano i licenziamenti politici.
Ma la classe tiene, nel 1953 la legge truffa è respinta e gli equilibri politici cambiano. In occasione del decennale della Resistenza, la tessera del PCI ne rivendica con orgoglio il carattere operaio.
Dopo i duri anni della guerra di liberazione e i dieci anni di lotte incessanti della Ricostruzione, le masse eternamente in marcia hanno diritto a un po' di pace e di benessere.
Sul manifesto dell'ARCI-UISP del 1956 l'operaio prefigura l'uomo nuovo a cui si vuol tendere.
È domenica mattina, dismessa la tuta da lavoro, e cessati per sempre i laceri panni dell'ico-nografia proletaria del primo novecento, il lavoratore legge la Costituzione nella biblioteca del suo circolo. All'esterno l'attende un moderno impianto sportivo, mentre la fabbrica, relegata sullo sfondo, è dimenticata fino al lunedì.
La realtà è un po' diversa, il circolo, più che biblioteca è enoteca - e magari di scarso livello - mentre lo sport, con l'arrivo dei transistor è ridotto alla passiva fruizione delle radiocronache delle partite di calcio, o delle tappe del Giro d'Italia. Ma è tracciata una strada di crescita non solo materiale dei livelli di vita.
Alla vigilia del boom, la classe e le sue organizzazioni politiche si pongono con urgenza il problema dell'istruzione, e non solo professionale. Nei primi anni '60 ci sarà la riforma della scuola media che rientrerà nella scuola dell'obbligo.
Riprendendo il tema proposto nel decennale della Resistenza, la tessera del PCI del 1958 ribadisce la centralità dirigente della classe operaia. Dalla fabbrica alla società recita uno slogan coevo.
È, tradotta in immagini, l'egemonia gramsciana.
In questa prospettiva la classe deve porsi l'obiettivo ambizioso di penetrare nell'apparato di riproduzione principale della borghesia: la scuola.
Gli operai delle Officine Galileo, che hanno saputo parlare al sindaco La Pira e mobilitare al proprio fianco tutta Firenze, sembrano i testimonial adatti per rivolgersi agli studenti.
Per il momento nelle università e negli istituti secondari, che sembrano impenetrabili alcazar della destra, la presenza della sinistra è affidata a isolate avanguardie. Ma tutto cambierà nei dieci anni successivi.
La 600 sta per arrivare, ma per il momento, nelle brumose albe delle città del nord un esercito di ciclisti percorre le strade in direzione delle fabbriche. Per questa gente, la bici è ancora il bene prezioso del film di De Sica.
Ma la distribuzione della ricchezza è diseguale, c'è un'altra Italia che fa meno fatica.
Stavolta ce la racconta Fellini.
Comincia dunque anche una questione morale, e ancora una volta l'operaio deve rivestire i panni di Prometeo affinché il discreto benessere conquistato non gli faccia dimenticare che il suo sforzo titanico è tutt'altro che concluso.
Bisogna liberare il mondo, bisogna cambiarlo.
Nelle periferie coloniali le masse asservite si scuotono dal giogo del dominio e lottano per l'indipendenza.
Nel 1962 l'Algeria è diventata indipendente, il papa buono ha scomunicato Fidel Castro, Eichmann è stato giustiziato, si è suicidata Marilin Monroe; è uscito il primo disco dei Beatles.
Il mondo sta rapidamente cambiando e le imprese spaziali sovietiche sembrano decretarne la superiorità tecnologica rispetto all'occidente.
I pennacchi delle ciminiere sullo sfondo identificano le masse che celebrano l'anniversario di quello che è, forse già solo simbolicamente, lo stato operaio.
Sono, invece, i giovani operai della Fiat l'emblema della FGCI. Locomotiva del boom e stella polare di un epocale movimento migratorio, la Fiat ha portato all'estremo il meccanismo taylorista dello sfruttamento della forza lavoro, alternando alla funzione
poliziesca dei capi reparto, un sistema di relazioni privilegiate con sindacati di comodo. Qualcuno dei ragazzi ritratti nella fotografia ha forse partecipato, nel luglio precedente, all'attacco della sede dell'UIL in piazza Statuto. Intanto, le ondate migratorie interne danno nuovo impulso all'edilizia.
La ricostruzione del dopoguerra, i piani di edilizia popolare e le opere pubbliche fanno da volano all'intera economia e hanno trasformato rapidamente in operai i braccianti veneti e meridionali.
A questa nuova componente di classe è dedicata anche la tessera del PCI di un anno cruciale. Ciminiere e gru fanno da sfondo alle speranze di una giovane coppia proletaria.
Con l'autunno caldo i muri delle città si tappezzano dei simboli di una soggettività operaia antagonista e protagonista.
Il martello dell'iconografia originaria lascia piano piano il posto alla chiave fissa, opportuno e realistico avatar di una ricercata aggressività comunicativa.
Il mondo appare ad una svolta che si presenta come un parto difficile, la levatrice va sollecitata.
Ai comportamenti ottusamente arretrati del padronato nostrano non viene concesso credito. Gli operai hanno perso la pazienza.
La classe operaia conquista un'attenzione privilegiata che manterrà per tutti gli anni '70.
Composta e riflessiva forza di cambiamento, o dinamico e spontaneo vettore di ribellione, la classe sembra l'ineludibile fattore sociale con cui bisogna fare i conti.
Alla fine del decennio e superati gli anni di piombo, la classe sembra poter ancora puntare in alto.
Nella strategia di Berlinguer non è solo al centro dell'attenzione, ma anche il centro politico che dovrebbe garantire - per rubare lo slogan alla DC - un progresso senza avventure.
Ma non è dello stesso avviso la Fiat, che nel 1979, con un'azione simbolica che tende all'effetto mediatico, procede a 61 licenziamenti politici per preparare il terreno al piano di ristrutturazione dell'anno successivo, con cui mette in cassa integrazione 24.000 operai, prevedendo di licenziarne definitivamente la metà.
La reazione operaia è decisa, la lotta si protrae per 35 giorni.
Ma il fronte padronale è forte, può contare sui sindacati collaborazionisti, una stampa corriva, e anche, sotto sotto, con quegli esponenti del PCI che si troveranno, anni dopo, in consonanza con Machionne.
A concludere la vicenda, un formidabile coup de théâtre, la marcia, sapientemente organizzata di 20.000 capi e capetti, prontamente raddoppiati dalle cronache giornalistiche.
È una cruda sconfitta che mette a dura prova la stessa unità della CGIL e che pone sotto accusa l'egualitarismo scaturito dalle lotte dell'autunno caldo, a cui viene imputata la responsabilità della mancata rappresentatività del sindacato rispetto ai ceti impiegatizi.
Già alle elezioni politiche del 1979, il PCI, che perde consensi e fallisce l'agognato sorpasso, si è accorto di un logoramento della funzione egemone della classe operaia.
L'iconografia di partito, che ha affiancato all'operaio, in una piramide sociale di cui sta al vertice, altri ceti, registra un movimento verso la dissoluzione della specificità operaia nell'insieme opaco del lavoro genericamente inteso.
Ma la fase rivela appieno la valenza strategica del controllo dei mezzi di informazione. Un complesso apparato ideologico, costituito da formulazioni neoliberiste, suggestioni individualiste e ammiccamenti postmoderni, è in arrivo: l'edonismo reaganiano.
Nel nostro paese troverà un interprete pronto a declinarlo in una versione - almeno formalmente - di sinistra, Bettino Craxi.
Mentre banche, padroni, boiardi di stato e ceto politico divorano in tangenti la ricchezza nazionale, una campagna di stampa pervasiva e orchestrata a puntino addita, nel costo del lavoro, l'origine ditutti i mali del paese.
Con il decreto di San Valentino viene rottamata la scala mobile.
La classe operaia torna sui manifesti, ma è ormai isolata e in difesa.
A fianco degli operai restano solo i comunisti del PCI e di Democrazia Proletaria, mentre un fronte unico comprende, insieme ai padroni e a tutti gli altri partiti, la CISL, la UIL e la componente socialista della CGIL.
Verso la fine degli anni '80, la propaganda del PCI ci fornisce, contro le proprie intenzioni, un'immagine visuale del ridimensionamento del peso della classe operaia.
Con gli anni '90 e il varo della seconda repubblica, gli operai scompaiono, inghiottiti dalle nebbie del nord-est, nelle fabbrichette dove il piccolo è bello.
Per i nuovi partiti postideologici, non esistono più le classi, ma bisogna rivolgersi alla società civile, lo pseudonimo più presentabile della vecchia borghesia.
Come nel gioco dell'oca, un gruppetto di orfani socialisti riparte dal via.
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