In quanto uomo, m'impegno ad affrontare il rischio dell'annientamento perché due o tre verità gettino sul mondo
la loro luce essenziale (Frantz Fanon)

sabato 23 novembre 2013

il fantasma di LC

Anarchici, antagonisti, l'ala violenta del grillismo? L'attacco alla sede PD da parte di manifestanti no-tav ha scatenato l'ansia di catalogazione tipica della mentalità repressiva.
Descrivere, definire, discriminare e segregare, il protocollo è questo. E va seguito.
Se ne incarica Il Manifesto, giornale in agonia, ma purtuttavia convinto di essere ancora il depositario e custode della norma per tutto ciò che si agita a sinistra.
Vi si applicano i berlingueriani della diaspora, nelle loro più varie e critiche collocazioni del momento, mai abbastanza critiche da convincerli, nell'inconscio, che - al di là dei suoi indubitabili meriti personali - l'eredità lasciata da Berlinguer fu uno squallido apparato di opportunisti autoreferenziali pronti, per la propria conservazione, a liquidare il PCI e a fondersi con la DC.
Inutile dire che storicamente, quando un'autoproclamata ortodossia comunista si muove in questo modo, vuol dire che il nemico, per quanto lo si possa definire fascista, è a sinistra.
A qualche ortodosso, la memoria personale, ancora pregna degli affetti di allora e per nulla abreagita dalla storicizzazione, ha rammentato Lotta Continua e soprattutto l'estrazione piccolo borghese (con relativi esiti) di molti suoi esponenti.
Strano, che nell'infinito dibattito sul populismo non sia saltata fuori prima, questa sigla.
Perché LC fu un gruppo di ispirazione populista. Il suo punto di riferimento non fu mai, infatti, la classe intesa come avanguardia cosciente, ma il singolo operaio-massa, con tutte le sue contraddizioni. Andò anche più in là, individuando come agente della lotta sociale il proletario, sociologicamente tale a prescindere dalla sua collocazione nel processo produttivo.
Fa dunque specie che a tanti acuti critici occupati, or non è molto, ad analizzare con acribia la nozione di populismo a partire dalla preistoria, sia sfuggita questa connessione.
Viene invece il sospetto che una ricognizione su questo elemento avrebbe nullificato l'assioma di base della ricerca, ovvero l'identificazione del populismo con il pensiero di destra.
Asserire che Lotta Continua sia stata un movimento di destra è impresa difficile anche per il più acrobatico polemista.

Caratteristica precisa del populismo è quella di dare dignità alle soggettività subalterne, con tutte le contraddizioni che ne derivano.
Immaginiamoci cosa potrebbe dire, oggi, dar voce ai proletari che vivono nei quartieri di merda (cito a memoria da un volantino di allora). Darebbe la stura a tutti i borborigmi razzisti che abitano le pance della marginalità urbana e non faccio fatica a immaginare che qualche militante dell'LC di allora, tra quelli che non sono andati a dirigere un giornale, sia diventato, in questi ultimi anni, militante della lega.
Qui c'è uno stallo della ragione che attraversa tutta la nostra storia: come dar voce ai marginali? come affrancarci dall'ipoteca illuministica - e dunque borghese - che ci induce, già dai primi albori del 900, a parlar noi, per loro conto?
Il movimento comunista è imbarazzato e in contraddizione e persino egregi tentativi in campo antropologico e storiografico (Ernesto de Martino, Gianni Bosio o, più recentemente Cesare Bermani) sono stati guardati col sospetto che si riserva all'eterodossia.
Vincolata alla negativa connotazione del sottoproletariato, la sinistra fatica a svincolarsi sia dall'approccio paternalista della carità pelosa, di matrice cattolica, sia da quello spudoratamente interessato delle varie lobby che nelle marginalità ricercano ghiotte occasioni di lucro. In entrambi i casi, si tratta di un evidente atteggiamento élitario.
Lotta Continua utilizzava un trucco evangelico e nella sua azione si rivolgeva direttamente agli ultimi. Nelle periferie urbane del nord, il suo punto di riferimento non era l'operaio qualificato settentrionale, militante del PCI e della CGIL, che era stato partigiano e si era costruita una propria cultura, ma l'immigrato del sud, manovale o a giornata o addirittura senza occupazione, analfabeta e qualunquista, con un senso precario della legalità.
Nell'esprimere la propria soggettività, non più relegata in serie B, che era l'interfaccia di contraddizioni oggettive, il proletario naif di LC si confrontava e spesso si scontrava con l'aristocrazia operaia e in questo confronto si affinava, acquisiva dati, metodi e saperi, cioè cresceva.
La difficile scommessa di portare la tartaruga a raggiugere la lepre, raramente si realizza, ma è l'unica che abbia un senso.
Inversamente, il rapporto delle aristocrazie operaie con i nuovi soggetti, non avrebbe potuto essere altro che un mix di degnazione, commiserazione, pedagogia, un rapporto sterile di tipo coloniale.
Qualcosa, soprattutto nell'ambito del simbolico, rischiava di perdersi, ma capita che, per proseguire in un'impresa, ci si debba alleggerire, buttando a mare anche ciò che non è solo zavorra.
La storia dell'organizzazione parafrasa quella dei suoi militanti: da un'ideologia a banda larga, in cui suggestioni libertarie si mescolavano a ribellismo spontaneo e delusioni marxiste, si passò, per effetto stesso delle lotte, a una sempre più definita linea e cultura politica, ma per molto tempo LC fu un elemento estraneo dell'arena politica, guardato con diffidenza perché non rispettava le regole del gioco.

Nella strategia di LC, ogni lotta era la premessa di quella successiva, nell'assoluto disinteresse per le compatibilità del sistema di cose presente. Veniva cioè messa in atto quella democrazia progressiva che alcuni avevano dimenticato e altri affermavano esclusivamente a parole.
Nella concezione di Lotta Continua, la variabile dipendente non erano i livelli occupazionali o il salario, ma il profitto del padrone, che andava espropriato. L'orizzonte della lotta era dunque il potere e nessuna tregua sociale era possibile prima del suo raggiungimento.
Voleva tutto e chiedeva troppo. Anche a gran parte della sinistra, quindi, il conto presentato da LC sembrò esorbitante e pericoloso per la tenuta di un sistema la cui fine era, tutto sommato, considerata prematura.
Eppure non furono le sconsiderate rivendicazioni del gruppo a distruggere il gigante Montedison o a seppellire in una montagna di debiti l'IRI.
La sinistra responsabile, non avventurista, né velleitaria, preferì, invece, chiudersi a riccio nella difesa delle proprie conquiste, speranzosa di viverne di rendita.
Ma la storia afferma che quando c'è squilibrio tra le forze in campo, l'unica chance dei deboli è la guerra di movimento, mentre è sicuramente votata alla sconfitta la difesa logorante delle proprie posizioni. Rinunciando ad attaccare, la sinistra responsabile vedrà perciò cadere, uno dopo l'altro, tutti i capisaldi che si era affannata a difendere.

In tali frangenti irruppe, intempestivamente o troppo tempestivamente, la questione della lotta armata.
Rinunciando, per una volta, alla propria funzione di maître à penser, il Manifesto se ne uscì con l'irenica e ridicola formulazione, né con lo stato né con le br.
L'errore fu quello di pensare che tale logica biunivoca fosse l'unica possibile.
LC non ripudiava la lotta armata, ma nella sua concezione, anche quella doveva essere una pratica di massa e non un compito delegato a un'avanguardia. Se questa formula era chiara per stabilire i rapporti con la galassia delle bande armate, non era però, forse, sufficientemente precisa per delineare quelli con la nascente area dell'autonomia.
Sta di fatto che alla fine del 1976, l'organizzazione è di fatto sciolta e i singoli compagni compiono le proprie scelte in base a criteri in cui alle diverse analisi della fase si mescolano dati sentimentali. Si segue il destino dei propri amici di quartiere.
Fino a questa data, comunque, nessuno è sedicente. Lo diventerà solo più tardi quando il PCI, accettando la logica biunivoca, opterà per lo stato.
E che stato! quello delle stragi impunite, di Gladio e della P2!
Toccò a Bulow farsi il giro d'Italia delle sezioni ANPI, per richiamare all'ordine i nostalgici di Pietro Secchia, che con certi ambienti erano stati tolleranti o collusi, mentre Lama procedeva all'epurazione della CGIL.
Dichiarate sedicenti le br, si apriva la strada dell'unità nazionale, il cui frutto maturo sarà la sconfitta alla Fiat del 1980. L'inizio della fine.

Più soldi, meno lavoro! La rivendicazione del delegato fece il giro della fabbrica e tutta Mirafiori la fece sua.
Semplice e chiara, la formula del terroncello aveva avuto una popolarità che le complicate alchimie contrattuali della Settima lega non si erano mai sognata.
Eppure la Fiom aveva gente in gamba, forgiata negli anni duri dei sindacati gialli e dei reparti confino.
Ma il terrone della lega operai-studenti (poi, LC) aveva deciso di non rispettare le regole del gioco, di uscire dal seminato, di non concedere al padrone il diritto di decidere di cosa e come era lecito discutere. E fu l'Autunno caldo.
Quello slogan torna in mente oggi, quando qualcuno chiede un reddito qualsiasi, anche svincolato dalla nobilitazione del lavoro. Più soldi, anche senza lavoro
Ingenuo, ignorante, irriverente e ribelle, torna lo spirito di LC, a tormentare i sonni di chi l'avversò e a tingere di rosso quelli di chi l'amò.
Per qualcuno, è l'occasione per emendare qualche errore, per altri, per perseverarvi.



  

  




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