In quanto uomo, m'impegno ad affrontare il rischio dell'annientamento perché due o tre verità gettino sul mondo
la loro luce essenziale (Frantz Fanon)

domenica 10 novembre 2013

Un socialista a Palazzo Venezia

Alberto Beneduce (Caserta, 29 maggio 1877 – Roma, 26 aprile 1944). Studente all'Università di Napoli, prese la tessera del Partito socialista italiano. Si sposò a vent'anni ed ebbe cinque figli, nessuno dei quali venne battezzato. I nomi delle prime figlie (Idea Nuova Socialista, Vittoria Proletaria e Italia Libera) testimoniano un'incrollabile fede nell'ideale.
Nel 1904 si laurea in matematica, intenzionato a occuparsi di statistica.
Trasferitosi a Roma, collabora con Ernesto Nathan, primo sindaco anticlericale della capitale e si lega all'ala riformista del PSI. Nel 1912, quando Bissolati e Bonomi vengono espulsi, non rinnova la tessera.
Come gli altri socialisti riformisti, allo scoppio della prima guerra mondiale, Beneduce sostenne le ragioni degli interventisti. Come volontario fu mobilitato col grado di sottotenente del genio territoriale del Regio Esercito, ma nel 1916 lasciò il fronte per essere nominato amministratore delegato dell'INA, del quale era già consigliere
Finita la guerra, nel 1919 si dimise dalla carica e da docente per candidarsi alle elezioni politiche nelle liste del Partito Socialista Riformista Italiano nel collegio di Caserta, divenendo deputato e, successivamente, presidente della commissione Finanze della Camera.
Nel 1921, dopo essere stato rieletto deputato, assunse la carica di Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale nel governo presieduto da Ivanoe Bonomi. Mussolini sul Popolo d'Italia il 5 luglio 1921) ne lodò le capacità. Fu ministro fino al febbraio 1922 e non si ricandidò in Parlamento nel 1924, ma fu vicino ai gruppi democratici aventiniani, che sollecitò a rientrare in parlamento l'anno successivo. Deluso dall'opposizione e ostile al fascismo, si ritirò dalla politica attiva.
Ma la sua competenza sul funzionamento dello Stato, l'amicizia con il direttore della Banca d'Italia Bonaldo Stringher e del ministro Giuseppe Volpi e la stima dello stesso Mussolini ne fecero di lì a poco uno dei più ascoltati consiglieri economici del governo, alle prese con la crisi economica degli ultimi anni '20.
La sua concezione, saldamente legata ai suoi ideali socialriformisti, prevedeva una funzione precisa dell'intervento statale nell'economia.
 Il fallimento delle maggiori banche italiane, che detenevano anche numerose partecipazioni azionarie nelle imprese industriali, fu evitato grazie all'intervento dello Stato. Fu varata una legge bancaria che prevedeva la netta separazione fra banche ed imprese industriali, mentre le banche di interesse nazionale venivano salvate con la partecipazione diretta dello Stato al capitale di controllo delle imprese. Le aziende pubbliche rimanevano comunque società per azioni, continuando quindi ad associare, in posizione di minoranza, il capitale privato.
Lo Stato si riservava, inoltre, un ruolo di indirizzo dello sviluppo industriale, in luogo della nazionalizzazione vennero decisi dal governo Mussolini una serie di interventi finalizzati al salvataggio e al sostegno finanziario di singole imprese. A tale scopo fu prima fondato nel 1931 l'Istituto Mobiliare Italiano e successivamente, nel gennaio 1933 - auspici  il ministro delle Finanze Guido Jung, Beneduce e il futuro Governatore della Banca d'Italia Donato Menichella - l'Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI). Beneduce ne fu il primo presidente, dalla sua costituzione fino al 1939.
Beneduce si ritirò progressivamente dalla vita politico-economica a causa delle precarie condizioni fisiche, dovute a un ictus che lo colpì nel giugno 1936.
L'opera di Beneduce dimostra che un certo dirigismo dello stato in economia è perfettamente compatibile con il dominio del capitale, sia in regime democratico - era, coevamente, applicato nel new deal roosweltiano - sia in regime autoritario.
Ai critici che rimproverano a Beneduce il disinvolto passaggio dal socialismo alla collaborazione col regime, si usa opporre l'argomento dell'opposizione, nei suoi confronti, di molti esponenti fascisti. Vi è da dire che la politica propugnata da Beneduce poteva scontentare sia i settori del fascismo borghese, che non vedevano di buon occhio i limiti posti alla libera iniziativa, ma soprattutto il fascismo di sinistra, orientato a una gestione sociale delle imprese.



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