A partire da una scritta su un muro di Lecce, “Dio è violent…! E mi
molesta”, Luisa Muraro conduce un’analisi spietata sull’uso della
violenza e sul senso che assume in una società in cui è venuta meno la
narrazione salvifica del contratto sociale. In una prassi politica che
tollera l’uso privatistico della cosa pubblica, il dilagare della
corruzione, la logica del profitto, continuare a pensare che l’uso della
violenza sia esclusiva dello Stato di diritto e che a esso ci debba
sottomettere è un atto di resa e un indice di cecità intellettuale.
Poiché la politica è ancora e sempre la ricerca di un’esistenza libera, i
cittadini devono affrontare chi
detiene il potere dichiarando di non aver rinunciato all’esercizio della
violenza, rivendicando una narrazione alternativa al contratto sociale.
Bisogna essere in grado di non abdicare alla propria forza, di dosarla
senza perderla, accettare che essa faccia parte dell’agire politico come
un sapere necessario. Bisogna essere in grado di andare fino in fondo
alla propria forza di resistenza e di opposizione, pienamente
responsabili della loro funzione.
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